domenica 18 settembre 2016
La burocrazia della morte applicata a un minore. Il primo caso nel mondo, applicata la discussa legge del 2014. (Giuseppe Anzani)
IL FATTO Choc in Belgio, eutanasia su un minore
Eutanasia di un figlio. La soglia violata
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L’hanno fatto morire, quel ragazzo malato. Dicono che soffriva tanto e che sarebbe morto di lì a non molto, e tanto vale risparmiare dolore, quando non se ne può più.

Dicono che lui era d’accordo, e anzi lo chiedeva, e i suoi genitori dicevano di sì. E la legge ha detto di sì, la legge belga approvata il 28 febbraio 2014. E così alla fine un medico l’ha fatta finita, e la morte s’è presa quel corpo legalmente consegnato. È (forse) la prima volta al mondo che succede, l’eutanasia di un giovanissimo. Di lui non sappiamo con certezza quasi nient’altro, solo con grande fatica alla fine si è conosciuta l’età, 17 anni. Nel mondo, solo l’Olanda e il Belgio hanno leggi sull’eutanasia di minori; ma in Olanda c’è il limite dei 12 anni, sotto i quali è bandita, in Belgio invece non c’è alcun limite minimo, e se un bambino infradodicenne è ritenuto maturo e consapevole nel chiedere la morte la legge apre i circuiti della morte e ve lo incanala.

È un percorso recintato fra prognosi mediche senza speranza e stadi terminali e sofferenze fisiche insopportabili che non si possono lenire; una strettoia nella quale s’introduce l’assenso di una équipe medica, e poi il giudizio di uno psichiatra, o psicologo, a vagliare la capacità di discernimento del minore che chiede di finire; e poi il consenso dei genitori; e quando ogni casella è riempita, il pollice verso è legale, e addio minore. 

 Quando fu fatta la legge, in Belgio, fra aspri contrasti, forse si pensò di dare spiraglio di libertà adulta ai più giovani socchiudendo la porta proibita, il suicidio minorile assistito. Oggi la soglia è stata varcata, violata. Dico la parola suicidio perché il testo di quella legge ribadisce che la domanda di morire deve venire dal soggetto malato, e che i genitori devono essere 'd’accordo'. E qui c’è il primo tremendo quesito sul quale vorremmo interrogare la morte prima che si allontani con la sua prima vittima così giovane, frugando i segreti coperti dal suo mantello nero. Di chi è realmente la domanda, la volontà, la decisione (la libertà, infine, se vi ha gioco in questo genere di vertigini)? 

Quali fattori determinanti, nel viluppo emozionale e vitale che intreccia la vita del figlio alla vita dei genitori, influenzano l’autodeteminazione (si dice così, ormai) di un bambino, o di un ragazzo, investigata da uno psichiatra? O non è forse proprio la psicologia a metterci in guardia, e a volte in angoscia, su ciò che passa nel cuore di un figlio secondo il crogiolo affettivo che lo circonda, se è fatto di conforto o di desolazione, di sostegno empatico o di rassegnato abbandono?

E di tutti gli altri certificatori dell’aiuto al minore 'suicida', protagonisti, un po’ burocratici, della procedura letale, si può chiedere infine chi veramente vuole che muoia chi, e perché? E gli analgesici, gli anestetici, le cure palliative per il dolore della persona, corpo e spirito insieme? Io credo che qualche fremito percorra anche quelli che in Italia si vanno battendo per l’eutanasia in casa nostra, e che in questi giorni ripescano le loro proposte di legge (dove la parola suicidio è scritta bella chiara) dicendo che non bisogna fare dalla vicenda del ragazzo belga uno 'spauracchio di cronaca'.

Ma questa è la confessione implicita che quella morte è un contraccolpo nell’anima di tutti: ed esorcizzare la paura non schiverà i quesiti dell’umana civiltà, del senso della vita, di ciò che siamo da vivi e da morti, della polvere di cui siamo impastati e del soffio vitale che ci imparenta con l’eterno. Anche solo sul piano terrestre, la comune appartenenza, l’amore alla vita gli uni degli altri, la sollecitudine per lenire il dolore, la speranza che non s’arrende alla distruzione suicida è lo scampo per non chiuderci nell’orizzonte di una terra del nulla.

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