Essere preti in questo tempo
domenica 8 luglio 2018

La realtà ha superato ogni immaginazione. La vocazione al sacerdozio è un mistero stupendo incastonato nell’affascinante mistero della vita. Qualcosa che ti appartiene fino a un certo punto, che puoi prevedere e programmare solo in parte. Il sacerdote cattolico è, oggi, un uomo al quale si chiede molto e si perdona poco. Un uomo aggrappato al cielo, radicato in terra, ammaliato dalla Verità. L’unica, eterna verità, la verità dell’Amore. Un ingordo che non si accontenta mai, che vuole tutto, che non desidera niente, che vuole fare centro, che desidera essere ultimo. Un uomo contraddittorio come, a prima vista, sembra essere stato il suo Maestro. Sovente è incompreso, è vero, e come potrebbe essere il contrario? Non è vero che è un buonista. Al contrario, è arso dalla sete di Dio, e dalla sete di giustizia. Errori, limiti, peccato nulla tolgono ma tutto aggiungono alla bellezza del sacerdozio. Se la mia pigrizia, la mia negligenza, il mio scarso desiderio di santità non mi permettono di arrampicarmi sulle alte vette dello Spirito la responsabilità è tutta mia. «Io so in chi ho creduto», scrive san Paolo. Anch’io.

Di errori ne abbiamo commessi tanti, ma uno, credo, si è rivelato più pesante degli altri. L’errore che si commette quando, avendo i granai strapieni e le botti traboccanti di vino, non si sente più il bisogno di svegliarsi presto la mattina per correre in campagna a zappare, seminare, innaffiare, mietere. E ci si lascia intontire dalla noia. Vivere di rendita è orribile. Non c’è niente di peggio per un giovane dell’essere nato in una famiglia ricca che lo induce a campare di rendita, privandolo della soddisfazione di pensare, faticare, produrre, inventare, soffrire, stancarsi. Donarsi. Qualcosa di simile è avvenuto e avviene nel campo della fede. Cristo è dono, ma anche conquista; pace vera e strana inquietudine. Antico e sempre nuovo. Pur essendo il mio più grande amico, non si lascia incatenare da me, dalle mie opinioni, dalle mie paure, dalla mia superbia. Appena tento di farlo scappa via e non lo trovo più. La sua assenza mi è insopportabile, senza di Lui vivere è impossibile. Allora corro a cercarlo, ovunque. E lo trovo. Nei tramonti struggenti, nel mare in tempesta, nelle donne che allattano serene, nelle mamme risucchiate dal mare in tempesta, nei bambini che giocano, nei bambini che muoiono.

Cristo da me non vuole essere difeso. Lui non ha nemici. Da me vuol essere cercato, coccolato, amato. Dal carcere, Luigi mi scrive: «Non puoi immaginare, padre, la gioia che mi hai dato nel venirmi a trovare per celebrare la Messa per me e i miei compagni di sventura. Mi sento sollevato anche se la mia condanna è ancora lunga…». Sapesse, Luigi, la gioia che loro hanno dato a me. Il Vangelo tra le sbarre. La Libertà in prigione. Cristo povero tra i poveri.
A Mara l’acqua era tanto amara da non poter essere bevuta. «Mosè invocò il Signore il quale gli indicò un legno. Lo gettò nell’acqua e l’acqua divenne dolce». Lontana figura di un altro legno, il legno della croce che addolcisce gli animi, rafforza i vacillanti, rialza i caduti. Dona speranza ai semplici. Alla luce della croce nelle acque amare del Mediterraneo intravedo il Crocifisso che annaspa, si dimena, si dispera, invoca aiuto. Annega. Ne sono certo, è Lui. Riconosco il volto, il linguaggio, i lamenti. Riconosco la sua preghiera. Che faccio? Non chiedermi, ti prego, di rimanere fermo, di badare ad altro, di tornarmene a pregare nella mia chiesetta. Non chiedermi neppure di vederlo in Te quando la tua vita arranca, non chiedermi di fingere di non riconoscerlo quando viene travolto dalle onde. Ma a che serve riempire l’Altare di fiori, di incenso, di preghiere se poi lascio morire il fratello e la sorella di fame e di freddo?

Il sacerdote è un uomo preso tra gli uomini per annunciare il Vangelo e aiutare gli uomini a rimanere uomini, resistendo all’egoismo, alla menzogna, all’ipocrisia. Ascoltiamo papa Francesco: «La stanchezza dei sacerdoti, sapete quante volte penso a questo…». Grazie, Santità. Perciò, fratelli, pregate per noi. «Quando Mosè alzava le mani Israele era più forte, ma quando le lasciava cadere era più forte Amalek». Perché non accadesse, Aronne e Cur gli sostennero le braccia. Impariamo a farlo anche noi. Sosteniamoci a vicenda. Crediamoci: «alla sera della vita ciò che conta è avere amato». «Ama e fa quello che vuoi». Ma prima ama. Aiutateci ad aiutarvi. Aiutiamoci ad aiutarci. E siamo riconoscenti.

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