Esser scuola anche in Dad. «Noi comune ci siamo»
mercoledì 3 marzo 2021

«Non vedevo l’ora di rientrare in presenza, mi è mancata la scuola», ha detto un mio alunno alcune settimane fa, quando la didattica è ripresa al 50%. Prima della pandemia quale docente ha mai sentito una frase di questo tipo da uno studente, tranne che in modo ironico? Forse neanche gli studenti l’hanno mai ascoltata dalla bocca degli insegnanti. Eppure, ci è mancato qualcosa – la scuola – che in realtà abbiamo sempre avuto, che resterà una certezza nonostante tutto per molti anni della nostra vita, e averlo scoperto è un importante insegnamento per il futuro. Questa nuova consapevolezza è stato , che ci piaccia o no, un regalo della Didattica a distanza. E sappiamo bene che non ce ne siamo liberati, anzi in un’Italia che inclina all’arancione ed è punteggiata di rosso ci sono sempre più scuole che vi si immergono totalmente di nuovo. Abbiamo fatto per mesi nell’emergenza di necessità virtù e non è questo il momento di mollare; al contrario si tratta di trarre il meglio di quanto è stato sperimentato e consolidato.

'Pesare' e 'pensare' mi sembra che siano due verbi adatti per continuare il percorso e migliorare. Ora che più o meno abbiamo preso le misure con gli alunni, è necessario fermarsi e operare una verifica partendo dal punto fermo che non è possibile né sano modellare la didattica on line esattamente su quella in aula e viceversa. Non è del resto neanche una corsa all’istituto che deve mostrare a tutti l’eccellenza dei metodi e della tecnologia, poiché non c’è proprio bisogno di questo, adesso. E non si vuole – speriamo – neppure sfruttare tale condizione forzata per 'recuperare programmi', quanto non svolto nei mesi precedenti o al contrario andare a chiuderli persino in anticipo. 'Pesare' e 'pensare' ci aiutano a capire che siamo in un tempo così complesso per tutti che la staticità, la routine, la voglia di mantenere la 'normalità' non sono la soluzione migliore per attutire il colpo. Del resto ci stiamo accorgendo tutti che la scuola tradizionale, tanto odiata almeno a parole, quando ci viene tolta per forza e per bisogno, ci manca. E non è neanche la tecnologia usata, nonostante i grandi sforzi della maggior parte dei docenti, a poter offrire quanto è proprio di una scuola con la 'S' maiuscola.

Certo i ragazzi – o almeno tanti di loro – ci seguono, si collegano, scaricano materiale, svolgono le prove, ci inviano i compiti svolti; ma qual è la loro vera domanda in questo tempo? Possibile che sia solo la richiesta di come affrontare un testo o un esercizio, o magari come o dove scaricare un documento o un video? Ogni domanda nasce dal desiderio di qualcosa e ogni desiderio è un segno vitale, non sempre però si sanno esprimere le domande o dar voce ai desideri, a volte perché non ci sono spazi e momenti per tirare fuori se stessi. In questi giorni, allora, 'pesiamo' le nostre discipline, affinché suscitino veri desideri e 'pensiamo' a stimolare attraverso la nostra presenza virtuosa e virtuale profonde domande di senso nei nostri studenti. Paradossalmente è una condizione favorevole per riappropriarci di qualcosa di prezioso: gli insegnanti della passione educativa e della docenza come azione creativa, gli studenti dello studio come passione dell’apprendimento e come azione di libertà.

Per questo con le mie classi, in queste settimane, abbiamo scritto una sorta di promemoria di ciò che abbiamo imparato, una traccia da seguire: «Ci siamo dedicati spazi dimenticati e tempi mai considerati, ponendoci domande che ci aiutano in questa ricerca. Abbiamo aperto libri nuovi o impolverati e sfogliato pagine che ci attendevano da tempo o che avrebbero atteso ancora molti anni. Ci siamo applicati ad attività diverse, scoprendo per esempio il ’master chef’ che c’è in noi oppure l’Homer Simpson, ma soprattutto ci siamo ritrovati a 360° figli, sorelle, fratelli, nipoti, mogli, mariti, madri, padri, fidanzati, amici. Abbiamo scritto diari, poesie, formule, codici, numeri, mail, messaggi, forse persino libri; conservati con cura, e che un giorno, riletti, ci faranno piangere e ridere insieme. Siamo stati a casa per forza, ma per amore siamo stati anche 'classe' tra gli alti e bassi della connessione. Non siamo stati 'a scuola', tuttavia siamo stati 'scuola' fino all’ultimo giorno. Abbiamo riscattato i 'social', spesso giudicati negativamente, restituendogli vero senso, non facendoci perdere di vista e rendendoci più compagni. Abbiamo scoperto nuove modalità per studiare e sviluppato competenze non previste, cioè siamo diventati più bravi. Siamo anche divenuti cittadini più consapevoli e, restando a casa, abbiamo compiuto il nostro dovere civico. Ora ci restano, in presenza e a distanza, alcuni mesi che sono come pagine bianche su cui scrivere 'noi comunque ci siamo'».

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