giovedì 5 agosto 2010
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Il clima che ha contraddistinto il dibattito parlamentare sulla richiesta di dimissioni del sottosegretario Giacomo Caliendo, infine respinta da una maggioranza che non sarebbe stata tale senza l’astensione dei centristi dell’Udc e dell’Api ai quali si sono aggiunti i voti – in libera uscita dal centrodestra – dei seguaci di Gianfranco Fini e del lombardiano Mpa, segnala una situazione di aspra tensione, sia all’interno della maggioranza di governo, sia tra le opposizioni. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha accusato i finiani di aver abbandonato una posizione di principio garantista per modesti calcoli politici, Antonio Di Pietro si è scagliato contro gli astenuti accusandoli di vigliaccheria ricevendo una replica assai ferma da Pier Ferdinando Casini.Formalmente la coalizione di governo raccolta intorno a Silvio Berlusconi e scelta con chiarezza dagli elettori poco più di due anni fa sussiste tuttora, Benedetto Della Vedova, intervenendo per i finiani ha addirittura sostenuto la tesi un po’ surreale che «la maggioranza è solida». In realtà, i sostenitori del governo Berlusconi sono meno di 300 in una Camera di 630 membri. Il che significa comunque una settantina di deputati in più di quelli dell’opposizione "senza se e senza ma" proclamata dall’Italia dei valori e dal Partito democratico (nel quale però non mancano distinzioni, persino a proposito del contenuto della nuova legge elettorale sulla quale si dovrebbe fondare l’agognato «esecutivo di transizione»). E al Senato la supremazia di Pdl e Lega resta chiara.La situazione è assai ingarbugliata. Nessuno ha in mano il bandolo della matassa, né per garantire in un modo o nell’altro il proseguimento della legislatura, né per sancirne la conclusione anticipata col ricorso alle urne. Questo non significa che non esistano soluzioni possibili, ma che non esistono soluzioni di forza. E dal Quirinale questo scenario appare particolarmente chiaro.I compiti delle vacanze che i responsabili politici dovranno svolgere si presentano davvero piuttosto ardui. Tutti, per ora, insistono nel proclamare, come in un’indimenticabile poesia di Eugenio Montale, «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». Per passare a spiegare che cosa invece pensano che si possa fare, che è poi il compito della politica, sarebbe necessario un bagno di umiltà e una ricerca di comprensione delle ragioni altrui, operazione ostica ma indispensabile. Il federalismo fiscale, la giustizia, la stessa legge elettorale, oltre – ovviamente – il controllo della spesa pubblica e il sostegno all’economia e al lavoro, sono problemi che richiedono soluzioni meditate, che superino i confini di un’autosufficienza della maggioranza che non è più scontata.Se si cesserà di puntare alla distruzione dell’avversario, obiettivo peraltro mancato già tante volte – sia da chi annuncia invano da 16 anni la fine del berlusconismo, sia da chi pensa che l’alternativa alla propria parte sia solo un illiberale salto nel buio – forse si potranno esaminare le questioni di merito in modo meno pregiudiziale, puntando a trovare soluzioni e compromessi che vadano al di là di steccati ormai piuttosto malconci. E forse si potrà individuare il percorso più utile per attraversare quest’ennesimo guado.Soltanto se i leader di partito e di schieramento passeranno le prossime settimane a pensare a come render conto al Paese delle loro scelte, invece di organizzare "rese dei conti" all’interno di una classe politica arroccata, risentita e lontana dalla gente, si creeranno le condizioni per confronti e dialoghi costruttivi. Se invece si sceglierà di animare ancora di più le contrapposte tifoserie che si sono viste all’opera ieri a Montecitorio, si darà tristemente spettacolo e si deluderanno le attese vere della gente. Gli italiani meritano decisamente di più e di meglio.
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