martedì 4 maggio 2010
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Sparare contro ragazzi che vanno all’università è raccapricciante. La misura dell’atrocità l’ha data un sacerdote: le vittime non erano soldati o miliziani, ma studenti che portavano con libri e quaderni i loro sogni di crescere e di servire il proprio Paese. Ma ad aggiungere orrore su orrore c’è la motivazione più odiosa, quella dell’intolleranza religiosa, la negazione del primo diritto umano, la libertà di professare la propria fede senza impedimenti. E senza rischiare la vita come accade ogni giorno ai cristiani iracheni, minoranza tra le minoranze, non "degna" che di poche righe sulle agenzie di stampa quando finisce sotto il fuoco dei fondamentalisti musulmani, determinati a imporle un esodo forzato dalle terre in cui risiede da molti secoli.L’attacco di domenica a Mosul contro un convoglio di universitari siro-cattolici, nel caos politico di un dopo-elezioni particolarmente tormentato, non ha meritato nemmeno un messaggio di solidarietà da parte delle autorità di Baghdad. Silenzio anche nell’Occidente tanto solerte per altre cause, pur altrettanto nobili, ma selettivamente distratto quando si tratta di difendere i cristiani presi di mira in quanto tali. Qualche lodevole eccezione nel panorama italiano, ma le ripetute sollecitazioni partite da Roma non trovano echi a Bruxelles, dove nessuno sembra troppo preoccupato della sorte degli iracheni fedeli alla Chiesa.E si sa che l’apatia e l’indifferenza sono i migliori alleati dei carnefici. In sette anni di guerra e di travagliato post-Saddam sono stati centinaia i cristiani uccisi, decine di migliaia quelli costretti alla fuga, prima da Baghdad verso il Nord e poi all’estero, nei Paesi confinanti o in Europa, America e Australia. I loro spazi di manovra sempre più ridotti: luoghi di culto distrutti, attività economiche soffocate, violenze e minacce diffuse. Tutto denunciato e documentato; tutto spesso ignorato e regolarmente sottovalutato.L’attentato agli studenti è avvenuto nel breve spazio di un chilometro, tra due posti di blocco, uno delle forze americane e irachene, l’altro della polizia locale curda: una dimostrazione che per la minoranza più perseguitata c’è soltanto una "terra di nessuno", in cui si può impunemente colpirla senza che vi sia una doverosa mobilitazione per la sua sicurezza. Il convoglio dei ragazzi aveva, in testa e in coda, un paio di vetture di scorta, poca cosa per la forza e la feroce determinazione degli estremisti musulmani contrari a ogni forma di tolleranza e di convivenza.Ieri il vescovo Casmoussa ha invocato l’intervento di un contingente delle Nazioni Unite per la protezione della mese dopo mese più esigua presenza cristiana. Non si ripeterà mai troppe volte che un Iraq liberato dalla dittatura ma privo di una delle sue componenti religiose e sociali più antiche testimonierebbe la sconfitta di un progetto democratico che doveva estendere la sua influenza anche ai Paesi vicini. Al contrario, il contagio di una "pulizia confessionale" implicitamente accettata potrà diffondersi pure oltreconfine, in una regione dove gli estremismi non sono certo sopiti.Se per qualche inconfessabile pregiudizio anti-cristiano si rinunciasse alla difesa attiva dei fedeli che ancora resistono nel Paese, non solo si verrebbe meno a un dovere di giustizia, ma verrebbero aperte le porte al fanatismo. Quello che, poi, ci indigna e ci spaventa quando raggiunge le nostre nazioni e le nostre città. Pensiamoci, il tempo a disposizione per i cristiani iracheni continua drammaticamente a diminuire
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