Dove finiscono anima e cuore nelle vite dei giusti immaginari
giovedì 11 aprile 2019

Come il fariseo della parabola, che nel tempio pensava di pregare ma lodava solo sé stesso: «Ti ringrazio, Signore, perché io non sono come gli altri». Quel fariseo è il nostro rischio, il più grave, ha detto mercoledì il Papa in Udienza, commentando il «rimetti a noi i nostri debiti » del Padre nostro. Il più serio pericolo di ogni vita cristiana è l’orgoglio, ha spiegato: «L’atteggiamento di chi si pone davanti a Dio pensando di avere sempre i conti in ordine con Lui». Hanno un sapore profondamente quaresimale queste parole, eppure come entrano con immediatezza nella quotidianità italiana.

Quasi ogni mattina dai giornali radio vengono storie di rabbia e intolleranza. Sono i rom o sinti minacciati da una folla irosa, perché «sono ladri», tutti, indistintamente, persino i bambini, anzi i bambini di più. Sono le maledizioni e i 'marciscano in carcere' all'indirizzo di quelli che uccidono o fanno del male – soprattutto se di pelle nera. È un incattivimento che ci ha preso, che ha preso tanti. Un sentirsi, davanti a chi ha sbagliato o anche semplicemente appartiene a una categoria 'sbagliata', quelli 'giusti', quelli che non hanno nulla, ma proprio nulla da rimproverarsi. E quindi guardano in giù, verso chi andrà dietro le sbarre, con inferocito compiacimento: uno di meno in giro, e che buttino via la chiave, dicono.

Perfino nelle chiacchiere tra miti pensionati al bar respiri l’eco di questo umore: è il cinismo stanco di chi non andrà a votare, «tanto sono tutti ladri» («e noi, invece, che abbiamo soltanto lavorato...»). Qualunque sia la colpa, tragica o veniale, cui si guarda, la posizione personale è la stessa: io, invece, che non ho mai fatto niente di male. Io, che sono uno a posto. È orgoglio questo, insegna il Papa, grave peccato e drammatica amnesia della verità su di noi: perché se anche siamo davvero buoni e limpidi, comunque non è merito nostro, ma è grazia di Dio. È un riflesso della sua luce.
Mysterium lunae, è l’espressione teologica che è cara a Francesco e che lui evoca per spiegare una verità cristiana spesso dimenticata: come la luna non possiede luce propria, ma soltanto riflette quella del sole, così la Chiesa, e anche ogni cristiano, splende solo se è illuminato dalla luce di Cristo. Se sai amare davvero, ha insistito il Papa, è perché qualcuno quando eri bambino ti ha amato.

E ha aggiunto un’annotazione così attuale: «Proviamo – ha detto – ad ascoltare la storia di qualche persona che ha sbagliato: un carcerato, un condannato, un drogato … conosciamo tanta gente che sbaglia nella vita. Fatta salva la responsabilità, che è sempre personale, ti domandi qualche volta chi debba essere incolpato dei suoi sbagli: se solo la sua coscienza, o la storia di odio e di abbandono che si porta dietro».

Ma noi, ci sforziamo mai di immaginare, davanti a un qualunque colpevole, quale vita ha alle spalle? Non tutti, è vero, vengono da storie di abbandono.
Ma quanti, se li stessi ascoltare, potrebbero raccontare di genitori assenti, violenti, o nemmeno mai conosciuti. Di solitudini mai infrante da un amico vero, o di spaventosi viaggi per la sopravvivenza verso terre mai viste. Di sradicamenti assoluti, che intaccano l’equilibrio di un uomo. Persone cresciute dentro una eclissi di umanità, che ne portano indelebili i segni. Fra gente perbene o che si definisce tale, colpisce l’urto di una sentenza disperata, ben prima di quella dei giudici: che marciscano in prigione, e peccato, che non c’è più la pena di morte. Perché nessuno è più spietato di chi si sente 'giusto'.

E in Italia i 'giusti' immaginari stanno aumentando. Eravamo un Paese con tutti i suoi errori e le sue colpe, ma un Paese cristiano. Memore del «rimetti a noi i nostri debiti» del Padre nostro, e più indulgenti, più disposti a rimettere ai nostri debitori. Oggi l’asprezza di certi commenti sul web, come rigurgiti di livore, fa pensare, circa l’humus di questa nostra Italia. «Amiamo anzitutto perché siamo stati amati, perdoniamo perché siamo stati perdonati», ci ricorda il Papa alla vigilia della Settimana santa. Ci fermassimo un istante a riflettere su queste parole, a far memoria di noi e della nostra storia: magari ci diventerebbe possibile, di fronte a un colpevole, e anche a un colpevole di pelle nera o di coscienza oscura, risentire l’eco di una pietà in cui siamo cresciuti. L’eco di una misericordia che, nulla togliendo alla giustizia, sa ritrovare anche dietro la faccia di un assassino ciò che c’era prima. Un uomo, un poveraccio – in fondo, uno non così radicalmente diverso da noi.

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