giovedì 20 novembre 2014
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Ben 179 in un anno. Un giorno sì e uno no. Si chiamavano Tiziana, Laura, Veronica… Ciascuna una storia, e poi una vita spezzata, spesso per mano di qualcuno che le chiamava 'amore mio' senza saper cosa vuol dire amore. 179 donne uccise nel 2013, ben 22 in più rispetto all’anno precedente. Si chiamano femminicidi, per sottolineare che la vittima è tale proprio in quanto donna: fisicamente più vulnerabile e percepita spesso come possesso. 'Colpevoli di decidere': così l’Eures ha definito nel suo rapporto diffuso gli 81 omicidi, il 66% del totale, di mogli, fidanzate, compagne (o ex) da parte di uomini che non si rassegnavano non tanto a perderle quanto al fatto che fosse lei a volerlo. 'O mia o di nessuno', insomma.  Quanto ci sarebbe da contestare all’immagine deformata che la pubblicità (per non parlare di certi calendari 'artistici') spaccia in particolar modo nel nostro Paese. L’altro ieri la presidente della Camera Laura Boldrini ha richiamato le imprese e le multinazionali a cancellare, nei loro spot, gli stereotipi femminili che pure 'fanno vendere'. Non che la pubblicità uccida, però il fatto che tra le donne protagoniste addirittura il 12,9 di esse venga rappresentato come 'sessualmente disponibile', dà certamente al pubblico un quadro falsato delle relazioni tra maschio e femmina.  Dai dati dell’Eures si scopre che gli omicidi in famiglia (122, compresi quelli di 23 madri ammazzate dai figli) si consumano più al Nord (60), ma che le regioni con più casi sono il Lazio e la Campania, con 20 vittime ciascuna. E si analizzano le motivazioni: il tarlo del possesso, il conflitto quotidiano che sfocia in tragedia, questioni economiche. Ma dalla ricerca emerge anche qualcosa di più. Il femminicidio raramente è frutto di un raptus. Più spesso le vittime vengono minacciate per mesi, perseguitate, picchiate. Metà delle donne poi uccise dal compagno aveva segnalato o denunciato il pericolo. Si era messa nelle mani delle istituzioni, chiedendo protezione, fidandosi, credendo che lo Stato fosse in grado di fermare quell’insensata violenza. Accanto a una cultura del rispetto e della parità tra i sessi occorre garantire sicurezza alle donne maltrattate e minacciate, allontanare i violenti dalla loro strada, perseguire con determinazione chi picchia o abusa, anche e soprattutto se si tratta di un familiare. Questo non è amore. E le donne non possono essere lasciate sole a fronteggiare i loro persecutori.
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