Cattolici: la fatica della comunione e compiti da ricostruttori con valori interi
sabato 15 giugno 2019

Gentile direttore,
in queste settimane e in questi mesi, ma soprattutto dopo le elezioni europee del 26 maggio, sono stati preferiti da diversi potenti e scritti da diversi giornali giudizi e commenti “pesanti” sulla Chiesa, sul Papa e sul Terzo settore, il mondo della solidarietà. Parole anche miserevoli, infantili, false, ipocrite e tant’altro... ma comunque “fisicamente” lontane. Diverso è quando da compaesani, con i quali hai condiviso tanta vita d’oratorio e anche impegno sociale, senti dire parole aspre contro la Chiesa dei poveri, contro “il Papa e i suoi Vescovoni” (vecchia immagine di Bossi ripescata da Salvini) e contro quelli (i migranti) che “se stavano a casa loro, non rischiavano di morire” e ancora contro i caritatevoli e i volontari perché “finalmente basta col business della solidarietà”. E così via... Abitando in un piccolo paese dove ci si conosce tutti e frequentando la stessa chiesa/oratorio e stessa Messa, caro direttore, mi creda, è diventato faticoso condividere e recitare insieme le preghiere della nostra fede o scambiarci il segno della pace. Immagino le cristiane obiezioni, personalmente mi affidò alla misericordia, alla Madonna, allo Spirito Santo, all’angelo custode... Ma mi creda, rimane faticoso. Rimane però anche il giornale che lei dirige, ed è motivo di conforto. Di questo la ringrazio unitamente a tanti, anzi tutti, i suoi collaboratori. Cordialità infinite.
Pietro Rota

Caro direttore,
in questo tempo pre-estivo e post-elettorale vorrei comunicarle qualche riflessione. Il primo pensiero è di gratitudine ai numerosi amici e conoscenti che si sono messi in gioco donando idee, impegno, condivisione e tempo per il servizio del bene comune. Tanti di loro e di noi cittadini nei prossimi mesi saranno o si sentiranno “forza di opposizione” rispetto al clima politico dominante. Bisognerà perciò che sappiamo sentirci tutti, gli uni e gli altri, affiancati, seguiti e sostenuti nella quotidianità pubblica e nella sfera personale, elaborando riflessioni, compiendo scelte, perfezionando programmi e progetti che pongano concretamente al centro i valori grandi di ciascuna persona nelle diverse età della vita, sui fronti della famiglia, della salute, della scuola, del lavoro, del tempo libero, dell’ambiente, del territorio... Dobbiamo saper operare nel e per il presente con uno sguardo rivolto al futuro, ai nostri figli, alle giovani generazioni. Grazie, direttore, per il giornale che fa assieme ai suoi colleghi e che offre quotidianamente proprio in queste direzioni un importante ed efficace contributo a noi lettori e alla società e alla cultura della società italiana ed europea. Con viva cordialità.
Maria Rosa Beretta

Gentile direttore
non mi trovo d’accordo – una cosa che raramente mi accade – con la tesi di fondo dell’editoriale che domenica 9 giugno lei ha affidato al professor Giorgio Campanini e che ha intitolato con una domanda «Gli interessi più dei valori?» preceduta da una indicazione tematica esplicita: «I cattolici italiani e le loro scelte elettorali». Anch’io vivo con molta sofferenza la clamorosa diversificazione delle scelte elettorali anche tra i miei amici che sono davvero credenti, ma non ritengo giusto accusare una parte di perseguire meri interessi in contrapposizione a un’altra che persegue nobili valori. In realtà tutti pensano di votare per il bene comune (e quindi, talora, per il male minore), ma le opinioni su come si possa perseguire il bene comune e quali ne siano le priorità si sono drammaticamente differenziate. A questo livello è decisiva la richiesta di “formazione” autorevole contenuta nell’editoriale e io aggiungerei di “informazione”. Mi accorgo, infatti, di essere aiutato a orientarmi nelle scelte elettorali dalla lettura quotidiana di “Avvenire”. I miei amici credenti frequentatori abituali di altre testate, hanno inevitabilmente una diversa percezione di cosa sia il bene comune dell’Italia. Con cordialità.
Roberto Ceresoli


Che cosa accomuna queste lettere? Prima di tutto il fatto che arrivano da lettori che leggono davvero “Avvenire”, lo rivela ciò che scrivono, lo dimostrano con le loro argomentazioni. Sono tre dei tanti lettori ai quali non finiremo mai di dire grazie e che poco a poco hanno reso “grande”, assieme alla fiducia dell’Editore e al lavoro della Redazione, un giornale che fa ormai stabilmente parte del gruppo dei primi cinque quotidiani d’informazione generale, uno dei quattro sopra le 100mila copie cartacee di diffusione reale media giornaliera. Perché è successo? Sono l’ottavo direttore della storia di “Avvenire”, e la mia risposta è che è successo perché siamo un giornale onesto, completo e originale. E perché abbiamo una linea editoriale chiara, soprattutto nei momenti in cui il bene e il male sembrano equivalenti e appaiono confusi. Una linea “cattolica” per ispirazione fondativa e per convinzione professionale, e perciò libera nel rapporto con qualsiasi centro di potere – politico, economico e culturale – e al tempo stesso consapevolmente aperta al dialogo senza paura e senza pregiudizi con chiunque, credente o no, cristiano o di altre fedi, abbia sincero interesse a costruire una società più solidale e più libera. Questa impostazione spiega il nostro costante sforzo per raccontare ogni realtà, compresa quella della politica, nella sua attualità e oggettività e a spendere cronache e opinioni dalla parte dei più deboli e dalla parte dei “buoni” e degli “umanitari”, che oggi vanno meno di moda che mai, ma sono quelli che mandano avanti il mondo degli uomini e delle donne nella direzione giusta. A differenza di altri, su queste pagine noi non abbiamo mai insultato o preso di mira personalmente nessuno, ma non abbiamo l’abitudine di tacere di fronte all’ingiustizia e alla disumanità, ovunque avvenga, in Italia o nel mondo. L’equilibrio è una virtù preziosa, ma non è mai equilibrismo e soprattutto non è sempre e comunque sinonimo di equidistanza. Davanti a un errore evidente o a un male palese, davanti a un gesto disonesto o alla violenza non si può essere equidistanti. Ci piace lavorare così al servizio dei nostri lettori e continueremo a farlo, anche se in tempo di “cattivismo” politico-mediatico questo manda fuori dei gangheri più di qualcuno, spinge a polemiche inconsulte e a grossolane mistificazioni, scatena gli intenti “punitivi” dei potenti di turno... E ora offro tre rapide risposte agli amici lettori e all’amica lettrice.
Al signor Rota, dico che ha ragione. È vero, può essere faticoso vivere in comunità cristiane dove alcuni sembrano essersi fatti abbindolare dalla versione riveduta e scorretta del Vangelo per cui bisognerebbe seguire Gesù e riconoscerlo, come lui ci ha insegnato, nei nostri fratelli e sorelle in umanità più deboli ma “fino a un certo punto” e limitandoci a quelli di una certa discendenza e cittadinanza. Ma non abbiamo alternativa al farci riconoscere per come ci amiamo tra di noi. E dobbiamo fare e pregare, affinché i sacerdoti, le persone consacrate e i laici impegnati, che di queste comunità parrocchiali sono riferimento, ci aiutino a camminare in questa direzione. Certo, chi sparla del Papa e dei vescovi che sono in comunione con lui e li attacca con pretesti ridicoli e furibondi, e bestemmia il nome e la vita dei poveri e dunque del Dio infine rivelato in Gesù Cristo, dovrebbe farsi qualche domanda. La Chiesa non è una caserma, ma chi si dice cattolico e non ascolta e non vuole bene al Papa, che cattolico è?
Alla signora Beretta, dico invece che capisco le sue intenzioni e condivido l’appello a un fattivo realismo, e proprio per questo non sono d’accordo con l’immagine che lei conia di tanti cattolici impegnati come “forza di opposizione” nel nostro Paese. Credo che il compito dei cattolici oggi sia, più che mai e prima di tutto, quello di essere una “forza di ricostruzione” nella nostra società. Ci sono da difendere e rinsaldare le ragioni e le pratiche della solidarietà civile, da governare gli spiriti animali del capitalismo e dell’individualismo egotista, da sanare le piaghe della corruzione, da far vedere dove ci sta portando il disprezzo per la vita fragile, dei senza voce nati e non nati e dei poveri, da disarmare le parole… Altro che opposizione!
Al signor Ceresoli, infine, vorrei infine suggerire di rileggere bene la bella e provocante riflessione di Giorgio Campanini (CLICCA QUI). In quel testo non c’è l’accusa a una sola parte c’è un’analisi che tocca tutti noi, comunque votiamo e dovunque ci schieriamo. E non è un modo per depotenziare la questione, ma per esporla nel modo più giusto anche se più scomodo. Il prevalere degli interessi sui valori è una grande questione politica e sociale, che nel «cambiamento d’epoca» che stiamo vivendo diviene lancinante. Una politica ridotta a mera rappresentanza (e anche a spettacolare rappresentazione) di interessi individuali e di gruppo non governa, incassa. Incassa in diversi modi, specula per incassare di più e magari immagina di poter costruire recinti impenetrabili a difesa dell’interesse coltivato. Ecco perché c’è urgente bisogno di una politica in cui i grandi valori (i valori tutti interi, come piace dire a me) non siano la foglia di fico di interessi che per quanto appaiano cospicui restano sempre piccoli e immiseriscono il futuro e dilapidano, anche drammaticamente, il bene comune...

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