La gran questione del «buon senso» nel governo democratico di un Paese
sabato 16 giugno 2018

Caro direttore,
«L’interesse collettivo prima di quello privato, l’interesse di garantire vivibilità prima della visibilità, la responsabilità di agire nell’interesse degli ultimi, prima di dare altre garanzie ai primi». Quale tipo di governo garantirebbe ciò che ho appena evidenziato. Uno di destra, di sinistra o di centro? Oppure semplicemente uno di buon senso, che abbia l’intento di proporre una reale democrazia?
Pasquale Mirante, Sessa Aurunca (Ce)


Il buon senso, caro signor Mirante, anche politicamente può abitare ovunque. O da nessuna parte. Oggi, potremmo concludere, che abbiamo democraticamente designato un Governo di nessuna parte. La maggioranza parlamentare che lo legittima è imperniata su due forze, M5s e Lega, che sino all’altro ieri se le sono date di santa ragione, ma appena ieri hanno siglato un assai pragmatico «contratto» che le ha portate a braccetto – o, meglio, gomito a gomito – alla guida del nostro Paese. Siamo tra quanti non hanno pregiudizi, ma attese forti e forti preoccupazioni. “Avvenire” come è giusto e logico valuterà, e già ha cominciato a farlo, passo dopo passo, fatti compiuti e impegni ribaditi o compiutamente articolati a proposito di politiche fiscali e per la famiglia, lavoro, gestione della seria questione migratoria, freno al dilagare dell’azzardo... Faccio solo due esempi, niente affatto casuali. Il “caso dell’Aquarius” e del suo dolente carico di umanità approdato stamani sulla terra ferma spagnola (e finalmente vedremo i volti di queste persone e non li chiameremo più solo per numero...) è stato gestito davvero male, perché è sempre grave e profondamente ingiusto usare uomini, donne, ragazzi e bambini (i migranti tratti in salvo nel Mediterraneo) per perseguire un pur legittimo fine politico (imporre un cambio di passo all’Europa che rifiuta di condividere “per quote” l’accoglienza dei richiedenti asilo con l’Italia) e per sviluppare una polemica aspra e pericolosa tra Stato e organizzazioni umanitarie nate dalla società (le famose Ong) per rivendicare l’impossibilità di una collaborazione tra questo e quelle. L’impegno confermato solennemente per fermare almeno la pubblicità dell’azzardo è, invece, totalmente condivisibile.
Personalmente, comunque, per tornare alla questione della collocazione geopolitica destra-sinistra-centro dell’auspicabile e necessario «buon senso» (ovvero della buona e giusta amministrazione della cosa pubblica), ho ben chiaro che il «contratto di governo» giallo-verde prescinde da quelle categorie. L’intesa che ha portato a Palazzo Chigi il professor Giuseppe Conte scortato dai due vice (e azionisti di riferimento) Luigi Di Maio e Matteo Salvini, infatti, non è a tutt’oggi un «compromesso storico», cioè un patto politico tra sostenitori di grandi visioni ideali alternative con alcuni basilari e democratici punti di contatto, ma una sorta di “regolamento di condominio” – nel senso letterale di con-dominio: potere congiunto – tra portatori di proposte politiche concrete e che in molti casi si limitano a vicenda (flat tax e reddito di cittadinanza, per intenderci). Proposte che, complice la de-ideologizzazione, quasi nulla hanno a che fare con le basi ideali dell’arduo e temporaneo «compromesso storico» – cioè della convergenza tra distinti e distanti: Dc e Pci – che alla fine degli anni 70 del secolo scorso si realizzò in faccia ai terrorismi ideologici rossi e neri in un passaggio drammatico, e infine vincente, della nostra vicenda democratica. Certo, anche questa intesa è la risposta a un’emergenza: il bisogno di dare una risposta al bisogno di governo e a una possibile crisi di sistema. Ma l’orizzonte è affatto diverso.
Una importante conseguenza positiva, però, c’è : la pacifica accettazione – finalmente! – di una semplice realtà: in Italia i presidenti del Consiglio e i Governi li elegge il Parlamento nel quale si esprime la sovranità popolare. Il nostro sistema funziona così, checché abbiano sostenuto in passato anche alcuni politici che oggi sono ministri e sottosegretari. La fiducia la decidono le Camere, secondo Costituzione, e non un qualche plebiscito elettorale. Nessuno, infatti, ha votato per un Governo M5s-Lega, ma la metà degli italiani ha votato (per due terzi) M5s e (per un terzo) Lega. E se quelle due formazioni decidono di allearsi, hanno la forza e la possibilità di farlo, ovviamente rispondendo della propria scelta, dell’azione che svilupperanno e delle conseguenze e «buon senso» (o meno) di ogni scelta ai propri sostenitori e all’intero corpo elettorale. Una chiarezza utile.


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