sabato 22 febbraio 2014
Lavoro, famiglia, figli: la ripresa oltre l’individualismo
di Mauro Magatti
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La spinta che ha permesso la rapida ascesa di Matteo Renzi, non ancora quarantenne, a Palazzo Chigi – alla guida di un governo di 16 ministri con un’età media inferiore ai 48 anni – viene da quella faglia profonda che si è scavata nella società italiana nel corso degli anni e che riguarda la questione generazionale. Una faglia che permette di leggere la crisi del nostro Paese con una lente non solo politica o economica, ma anche culturale. 
 
Che la società italiana sia stagnante è universalmente, e drammaticamente, noto. Le cause, lo sappiamo, sono tante. Ma non si finirà mai di sottolineare che i nostri problemi sono più profondi di quanto non si sia di solito propensi ad ammettere. Proprio come dimostra la questione generazionale che sta dietro al più giovane primo ministro d’Europa.
 
I dati parlano la dura lingua della realtà: secondo un recente rapporto della Banca centrale europea, la disoccupazione giovanile (dai 15 ai 24 anni) sfiora in Italia il 40%, ma ci sono alcune regioni del Sud dove supera addirittura il 50%. Tra coloro che hanno meno di 30 anni ci sono circa 2 milioni e mezzo di giovani che non sono inseriti né nel circuito scolastico né nel mondo del lavoro. Anime perse che rischiano di rimanere intrappolate per il resto dei loro anni in un circolo di marginalità. Nella fascia più qualificata, specie tra i laureati, da anni si registra un flusso massiccio di espatri. Si stima che siano più di 60mila gli «under 40» che hanno lasciato l’Italia nell’ultimo anno, fondamentalmente a causa della mancanza di opportunità professionali. Di fatto, il costo della crisi rischia di essere interamente scaricato sulla generazione dei più giovani. Un profilo preoccupante che, a dire il vero, non fa altro che radicalizzare una tendenza che risale a quindici anni fa – verso la fine degli anni ’90 – quando di fatto si decise di porre solo sulle spalle dei giovani il costo della flessibilità.
 
Nell’incapacità di realizzare un percorso di riforme Nserio ed equo del mercato del lavoro si preferì lasciare le cose come stavano, precarizzando i giovani. Da allora, molte delle condizioni necessarie alla costruzione di un progetto di vita, personale o familiare, sono venute meno. Con il risultato che sono quasi 7 milioni coloro che, avendo meno di 35 anni, vivono ancora con i genitori. Associandosi con le forti correnti culturali che alimentano l’individualismo egocentrico contemporaneo, tutto ciò si è poi tradotto nella forte riduzione del numero di matrimoni (sia religiosi sia civili), mentre si moltiplicano le convivenze basate sul presupposto della provvisorietà. Allo stesso modo, il numero di figli continua a diminuire e il tasso di natalità non crolla solo grazie al contributo delle famiglie straniere.
 
Non solo ci sono pochi bambini, ma una percentuale molto elevata vive in condizioni di povertà relativa: dei 9 milioni di minori, circa un terzo si trova in una situazione di disagio e 800mila in povertà assoluta. Nonostante i numerosi proclami, gli investimenti a favore dell’infanzia e della scuola continuano a essere molto scarsi. Gli asili nido sono insufficienti e comunque hanno costi elevatissimi, per non parlare delle politiche a sostegno della famiglia di cui si discute da anni, ma che poi, alla prova dei fatti, sono sempre dimenticate. Insomma, l’Italia è una società che rischia l’immobilismo. Economico certo. Ma, più in profondità, esistenziale. La raccomandazione è che Renzi non dimentichi proprio quel blocco sociale-generazionale che sta dietro la sua ascesa. Non dimentichi le aspettative che ha suscitato tra i giovani italiani – lui che li rappresenta tutti anagraficamente – e che non chiedono altro che poter dare prova di quello che valgono. Una volta entrato a Palazzo Chigi, non finisca per farsi irretire dalle mille urgenze e dalle mille lobby.
 
Per riaprire il futuro, anche economico, il nuovo governo deve avere il coraggio di combattere quel conservatorismo che impedisce alla società italiana di respirare e alle generazioni di fluire. Un conservatorismo – annidato dappertutto e che non ha colore politico – che è arrivato a recidere l’anello del tempo, che è poi l’asse su cui la vita si svolge. Mettere al centro dell’azione di governo i giovani e la famiglia non è qualcosa che riguarda una parte politica. È una emergenza nazionale, un modo per tenere insieme l’intera compagine sociale e soprattutto per restituirla a quel dinamismo senza il quale non ci può essere alcun rilancio. Se l’Italia ha smesso di crescere, ciò dipende prima di tutto dal fatto che ha cessato di pensare, di desiderare il proprio futuro. E il futuro dei propri figli. Un futuro che è sempre introdotto dalla nuova vita che arriva. Se l’Italia è ferma è perché nel nostro Paese è diventata dominante una forma di individualismo ottuso e gretto che ha fatto credere sia possibile un’esistenza che si sterilizza dall’Altro. L’Italia è moralmente sfibrata perché ha smarrito il senso di essere un popolo con una storia alle spalle e un domani davanti a sé.
 
Ecco, se Renzi e il nuovo governo vorranno essere davvero rivoluzionari, comincino da qui: dal riconoscere che la crescita è un’espressione della crescita della vita in tutte le sue forme. Che i giovani sono il nostro futuro e che ogni euro speso nella scuola e nell’educazione rappresenta un investimento che porterà il suo frutto a tempo debito. Che una politica familiare seria non è una questione 'cattolica' ma un tema strategico di interesse nazionale: è la cura della vita di ogni persona, in fondo, l’unica via per rinnovare la nostra attesa di futuro.
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