Dentro le infinite notti dell'attesa
martedì 16 luglio 2019

Dodici ragazzi, in una notte sola. Da Jesolo a Cesena, a Genova. Tutti nelle ultime ore del sabato, o nelle prime della domenica. È il caldo, è l’estate, è l’alcol a suscitare questa impennata tragica in un fine settimana di luglio?

Nell’ora del rientro dai locali, quando in strada c’è qualcuno ancora ebbro di alcol o di pastiglie, e guida troppo sicuro di sé, troppo veloce, mina vagante sull'asfalto. Ed è come se, su quelle strade, fosse appostato un cecchino. E il giorno dopo belle facce di ragazzi sui giornali, 22 anni, 23, ridenti, spesso abbracciati, come due che si vogliono bene. Che falciatura di sogni e speranze, l’altra notte. In giorni come questi mi viene da pensare a quante decine di migliaia di padri e madri passino, e non raramente, il sabato notte senza dormire. Le madri, forse, sono le più insonni. Gli uomini cercano di essere razionali, di non pensare a certe cose. Ma le madri, fanno fatica. Hanno con quei figli pure ormai grandi un legame di viscere: li hanno messi al mondo, e qualcosa nel sangue di quel legame carnale resta, a ogni età. Cercano di stare serene, ma man mano che la sera avanza un retropensiero si affaccia: mio Dio, lui deve tornare per quella brutta strada, oppure c’è nebbia, e al volante quale amico ci sarà? Certi sabati, se mi capita di rientrare tardi, guardo le finestre illuminate sulle facciate delle case. Quanti genitori in pena. “Mamma, non continuare a chiamare! E poi in discoteca come vuoi che ti senta?”.

E infatti il telefono suona a lungo, a vuoto, prima che scatti la voce anonima della segreteria. Le due e trenta. Affacciarsi al balcone, passano poche auto e nessuna gira nella direzione giusta. Bere un bicchiere d’acqua, aprire una rivista. Le tre e mezza. Un’altra telefonata a vuoto. Le madri svegliano i padri: “Fa tardi, stanotte”. E lui che si volta dall’altra parte tirando su il lenzuolo, mormorando: “È sabato, ovvio che fa tardi”. Pensando fra sé: mio Dio, le donne... E però punto anche lui da quel-l’ansia, che ora gli impedisce di riprendere sonno. Una sigaretta, un caffè che borbotta anzitempo in cucina. Sul frigo ci sono ancora le calamite di quando il figlio era bambino. Sulla credenza, la foto in cui lui sorride, e pedala su un trattore di plastica giallo. Tempi felici. Quando puoi credere che siano “tuoi”, diretti e protetti da te, e che lo resteranno sempre (la grande illusione dei giovani genitori). Già l’adolescenza è uno strappo. E poi sempre più altri da noi, a volte incomprensibili, taciturni, lontani.

Certo, ti vogliono bene, ma il bambino del trattore non c’è più; e la foto sulla credenza può fare quasi male. È in certe notti del sabato però, quando ormai sono le quattro passate e il cellulare è ancora muto, e si comincia ad aver paura, che si può affacciare tagliente una verità radicale: quel figlio tanto amato, curato, forse viziato, quel figlio che faresti di tutto per proteggere, non è affatto “tuo”, e in verità non lo è mai stato. Ti è stato solo affidato. Così come tu, che sei sua madre, non avresti saputo farne nemmeno un’unghia o un capello quando lo aspettavi, altrettanto ora non puoi fargli da scudo nei pericoli della vita. Almeno non in tutti. Nessuno può toglierlo dal destino che si sceglie, e cui è chiamato. È una sensazione di spogliamento, di mani che si scoprono vuote. Qualcuno in quelle notti, anche se non lo fa mai, prega. E intanto l’orologio in cucina avanza lento. Ma perché ancora non risponde? L’ansia è una lama. In casa, i due in vestaglia non parlano più. Fino a che – è lei, la prima a sentire da lontano il motore che si avvicina – le ruote sulla ghiaia del cortile. Come una benedizione. L’angoscia che in un istante si muta in rabbia: “A quest’ora? A casa mi ammazzavano di botte, se tornavo a quest’ora!”, alza la voce il padre. E il ragazzo che sbuffa, vuole dormire ora. “Il cellulare si è scaricato”, dice soltanto, tranquillo. Fuori, il sole si alza su una domenica, grazie a Dio, come le altre. Prima di tornare a riposare lei butta i suoi vestiti in lavatrice, gli lascia sui fornelli una caffettiera pronta per dopo. Lui, è tornato. Nella prima luce del giorno sfuma quel taglio doloroso, quel pensiero: nessun figlio ti appartiene. Sono idee che a molti vengono in mente solo in certe brutte sere, e suscitano quelle improvvise, balbettanti preghiere. Se poi ci si ripensa, magari paiono parole esagerate, suscitate dai fantasmi del buio. E invece quanto è vero, in certi interminabili insonni sabato notte, ciò che nelle madri e nei padri viene su dal cuore.

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