mercoledì 19 novembre 2014
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In fondo non siamo poi così lontani – a livello d’immaginario – dallo scontro biblico tra Davide e Golia. In fondo anche questa vicenda assomiglia moltissimo alla solita storia di un singolo, apparentemente piccolo essere umano che mette in crisi un gigante del potere. Però stavolta c’è qualcosa di più. C’è l’essenza del giornalismo, il ruolo sempre più crescente del web, la differenza tra due modi di fare informazione. C’è anche – e soprattutto – l’antico vizio di certi uomini di potere di censurare, anzi cercare di distruggere chi li critica. E c’è, ovviamente, un giornalista che non ha paura. Immaginatevi la scena. Siamo in un party a New York, pieno zeppo di quella che normalmente viene definita "gente che conta". Ci sono capitani della finanza, miliardari, giornalisti famosi, attori e vip vari. Sembra di stare in uno di quei film americani che abbiamo visto un sacco di volte. Con belle donne, uomini eleganti, cocktail, caviale, il potente un po’ sbruffone e un giornalista "di periferia" che si è "imbucato" e con il suo coraggio rovina a tutti la festa, svelando quello che doveva restare segreto. Sul web americano nelle ultime ore non si parla d’altro. Perché non capita tutti i giorni che un articolo metta in crisi un’azienda potentissima. Si tratta di Uber, una società che in soli 5 anni si appresta a toccare i 10 miliardi di guadagni. Cioè, quanto Facebook ma in metà tempo.Per capire esattamente la nostra storia, permetteteci (come nei film) un piccolo salto temporale indietro. Dopo avere fatto infuriare i taxisti di mezzo mondo, la società che offre un servizio di trasporto automobilistico privato attraverso un’applicazione che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti ha ricevuto critiche anche da alcuni giornalisti e blogger su diversi altri aspetti. Una delle voci più severe è stata quella di Sarah Lacy, l’editore del sito PandoDaily, che ha accusato l’azienda di misoginia e sessismo. Un piccolo Davide contro il gigante Golia-Uber. Ma capace di mandare in tilt il vice presidente Emil Michael. Il quale, durante una cena di gala, ha spiegato che Uber avrebbe dovuto reagire agli attacchi stampa di gente come Lacy, spendendo un milione di dollari per dotarsi di un team che scavasse nella vita personale dei giornalisti, mettendone poi in piazza i segreti personali. «Così assaggerebbero la loro stessa medicina». Nessuno dei presenti pare abbia replicato. E nessuno dei giornalisti importanti invitati sembra abbia preso appunti. Era una dichiarazione – come si usa dire – "off the record". Cioè, privata. Solo che in America, dove la stampa è mediamente più aggressiva che in Italia, se una frase è "off the record" va chiaramente specificato. Quindi, in teoria, tutti potevano scriverlo. Nessuno, però, l’ha fatto. Tranne un collaboratore di un sito americano che era stato portato lì "quasi per caso" da un collega più famoso. Ora lo scandalo è scoppiato e il vice presidente di Uber ha già chiesto scusa. «La frase non rappresenta il punto di vista dell’azienda», ha fatto sapere. Vedremo come reagiranno gli investitori. Intanto, un colosso da 10 miliardi di dollari è andato in crisi per il coraggio di un giornalista. Anzi, due: la blogger e il collaboratore presente alla festa. Sembra tanto la versione moderna del bambino della favola di Andersen I vestiti nuovi dell’imperatore. Quello che gridava: «Il re è nudo».
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