sabato 11 giugno 2016
Decolla il dialogo tra investitori e imprese. ​Pressing etico dei fondi di investimento sui manager.
(Andrea Di Turi)
Lavoro minorile e clima: la finanza si attiva
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Il mondo della finanza, i famosi 'mercati', è spesso percepito come impersonale, distante dai problemi quotidiani, quasi un’entità astratta. Sta però crescendo un diffuso desiderio di partecipazione dal basso, di far sentire la propria voce, per riconnettere la finanza a questioni reali e tornare a considerarla uno strumento con cui incidere sulla realtà in modo positivo. Ad esprimerlo sono soprattutto i cosiddetti 'azionisti attivi', vale a dire gli investitori – istituzionali in primis, ma anche individuali – che adottano pratiche di azionariato attivo in riferimento a temi di sostenibilità sociale e ambientale. Azionariato attivo significa che quando qualcosa non li convince, nel modo di comportarsi di una società in cui hanno messo dei soldi, questi investitori si attivano per chiedere delucidazioni direttamente ai manager. Iniziando un percorso di engagement, cioè un dialogo. Tutto bene se il dialogo produce risultati, se cioè l’impresa s’impegna a tener conto delle istanze degli investitori. In caso contrario, questi possono provare a trasferire il confronto all’assemblea annuale degli azionisti, l’Annual general meeting (Agm), magari arrivando a presentare una mozione da far votare. Dialogo, confronto, voto, possono vertere su una varietà di argomenti: le remunerazioni del management, le politiche del personale, la tutela dell’ambiente, il rispetto dei diritti umani. In un anno elettorale, per gli Stati Uniti, anche l’attività di lobbying e finanziamento alla politica. Proprio quest’ultima è stata una delle due questioni che hanno spopolato negli Usa nella stagione 2016 degli Agm: 99 le risoluzioni presentate sull’argomento, su un totale di 370, stando all’indagine 'Proxy Preview 2016'. L’altro grande tema, con 94 risoluzioni raccolte, è stato il climate change, che ha tenuto banco ad esempio il 25 maggio, a Dallas, all’Agm del colosso petrolifero Exxon, dove gli azionisti attivi hanno presentato una serie di risoluzioni riguardanti appunto i cambiamenti climatici. In particolare una, la risoluzione 12: chiedeva a Exxon di offrire più informazioni su come il suo business potrà essere influenzato da uno scenario '2 gradi', cioè nel caso in cui si concretizzasse l’atteso giro di vite a livello mondiale, nelle politiche climatiche, conseguente agli accordi raggiunti alla Cop21 di Parigi sulla riduzione delle emissioni di CO2. La risoluzione ha raccolto il 38% dei voti, non è passata, anche se la percentuale è stata da record per risoluzioni su questioni climatiche presentate in casa Exxon. Ma il vero record è stato quello del numero e del peso specifico degli investitori che si sono aggregati per sostenere tale risoluzione: più di 60 investitori istituzionali, con complessivi asset gestiti per 10 trilioni (10mila miliardi) di dollari. Una coalizione dalla potenza forse mai vista prima, guidata dal New York State Common Retirement Fund, il terzo più grande fondo pensione degli Usa, e dall’endowment fund della Chiesa d’Inghilterra, dove figuravano numeri uno del risparmio gestito mondiale quali Amundi, Axa, Bnp Paribas, Calpers, il gigantesco fondo pensione dei dipendenti pubblici californiani, e il fondo sovrano norvegese, il più grande al mondo (circa 800 miliardi di dollari di asset). L’Agm di Exxon è stato emblematico del potere di cui dispongono gli investitori attivi e responsabili quando agiscono in modo coordinato, formando coalizioni per fare pressione su specifici temi. Una prassi ormai consolidata oltreoceano, anche se non si può dire che l’Europa stia a guardare. Proprio in questi giorni a Berlino, ad esempio, promossa dalla non profit inglese ShareAction, è stata lanciata Erin (European Responsible Investment Network), la prima rete paneuropea di organizzazioni della società civile che praticano l’azionariato attivo. E l’Italia? Fra i membri di Erin figura la Fondazione culturale Responsabilità etica, che insieme ad Etica sgr (entrambe realtà del sistema Banca Etica) da molti anni ha preso a praticare l’azionariato attivo in modo regolare. Ma è soprattutto negli ultimi due anni che l’Italia ha fatto un decisivo scatto in avanti. Su iniziativa di Fondo Cometa, infatti, il fondo pensione complementare dell’industria metalmeccanica (il più grande in Italia, con oltre 400mila iscritti e asset per 10 miliardi di euro), verso fine 2014 è stata organizzata una coalizione di 14 fondi pensione (23 miliardi di asset complessivi), che hanno attivato un processo di engagement con 40 grandi banche internazionali sul tema del climate change, ottenendo risultati apprezzabili. Ancora più importante, però, è che l’iniziativa sia stata subito replicata. Però su un altro tema: il contrasto al lavoro minorile, di cui si celebra il 12 giugno, domani, la Giornata mondiale. Era esattamente il 12 giugno di un anno fa quando una nuova coalizione di investitori, con capofila ancora Fondo Cometa, avviava una vasta iniziativa di engagement su questo tema. «L’abbiamo scelto – dice Annamaria Trovò, presidente di Fondo Cometa – perché è un problema di cui non c’è adeguata percezione. Ci sono 168 milioni di bambini tra i 5 e i 14 anni che lavorano nel mondo, in Italia sono oltre 340mila i minori di 16 anni che lavorano: il problema è enorme. I fondi pensione che nascono dalla contrattazione hanno una particolare sensibilità alle problematiche sociali, oltre che a quelle economiche, e con questa iniziativa vogliamo provare a esercitare una pressione e al tempo stesso a far crescere una cultura. È chiaro che la nostra attenzione alla bontà della gestione finanziaria, a garanzia della prestazione pensionistica, non viene mai meno. Ma siamo anche soggetti che stanno nel sociale, rappresentiamo lavoratori e imprese. Quindi la nostra attenzione è anche rivolta a far crescere il valore sociale, il che significa alzare l’attenzione su questi temi». L’iniziativa è stata mirata verso società internazionali attive in settori tipicamente fra i più esposti al lavoro minorile: estrazione mineraria, tabacco, settore alimentare e della distribuzione. Sono state interpellate anche società quotate italiane non finanziarie appartenenti all’indice Ftse Mib. In tutto 43 imprese, con una capitalizzazione complessiva di 1.400 miliardi di euro. Alle quali è stato chiesto se sono a conoscenza dell’esistenza di principi e linee guida in materia di contrasto al lavoro minorile, come quelli emanati nel 2012 dall’Unicef sul rispetto dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nelle attività di business ( Children’s rights and Business principles). E, conseguentemente, quali politiche adottano per affrontare il problema nella propria attività, ad esempio in riferimento al controllo sulle catene di fornitura, spesso molto lunghe e articolate, opache, obiettivamente complesse da presidiare e proprio per questo terreno potenzialmente molto fertile dove la piaga del lavoro minorile può purtroppo attecchire e propagarsi. L’engagement è ancora in corso. I risultati verranno presentati ufficialmente verso fine anno alla quinta edizione della Settimana italiana dell’investimento sostenibile e responsabile, organizzata dal Forum per la finanza sostenibile. In ogni caso «le risposte arrivate sono state numerose – anticipa Trovò ad Avvenire – e anche abbastanza soddisfacenti: la sensibilità c’è. Quello che riscontro è che mentre una volta si ragionava scindendo il risultato finanziario dall’etica, oggi ci si sta rendendo conto che le due cose possono andare insieme». Le adesioni all’iniziativa da parte degli investitori, ed è un altro dato significativo, sono arrivate tutte a poche settimane dal suo lancio. Alla fine hanno aderito 32 investitori istituzionali, più del doppio rispetto al 2014, per complessivi 50 miliardi di euro di asset. In larga maggioranza fondi pensione negoziali, ma anche fondi pensione preesistenti, casse privatizzate e società di gestione del risparmio. La presenza negli Agm? «Al momento è un obiettivo – risponde Trovò – ma ritengo sia da perseguire in tempi abbastanza rapidi». Scenari alla Exxon, dunque, con potenti coalizioni di investitori schierate e pronte a dare battaglia in assemblea a colpi di votazioni, in Italia sono ancora di là da venire. Ma l’attesa per vedere all’opera anche da noi una finanza più 'attiva' su temi di questa portata potrebbe non essere poi così lunga.
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