martedì 10 dicembre 2019
L’esperienza religiosa e la semplificazione del racconto dalle opere alle serie tv.
Alleanze, corruzione, sete di potere, intrighi di corte, certo appartengono al passato e vanno letti e interpretati tenendo conto dello spirito dei tempi: «Distingui le epoche e metterai in armonia le leggi»

Alleanze, corruzione, sete di potere, intrighi di corte, certo appartengono al passato e vanno letti e interpretati tenendo conto dello spirito dei tempi: «Distingui le epoche e metterai in armonia le leggi»

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In questi giorni sugli schermi degli italiani viene rappresentata un’immagine di Chiesa cattolica, che fa riflettere, provocando spesso indignazione, ma al tempo stesso stupore, per la sopravvivenza di un’istituzione, chiamata a superare momenti bui e tempestosi, quali quelli raccontati nella serie televisiva sui Medici (e in particolare su Lorenzo il Magnifico) e nello sfondo della vicenda della Tosca, che, nella prima della Scala di Milano, ci ha commossi ed emozionati per una serie di motivi che il nostro giornale ha già avuto modo di evidenziare.

Si tratta di una Chiesa romana, imbrigliata dal 'potere temporale' e invischiata in dialettiche politiche e belliche, che nulla hanno a che vedere col Vangelo e con la sua missione spirituale. Alleanze, corruzione, sete di potere, intrighi di corte, certo appartengono al passato e vanno letti e interpretati tenendo conto dello spirito dei tempi: distingue tempora et concordabis jura ('distingui le epoche e metterai in armonia le leggi') suona l’antico motto di Francisco De Victoria (1483? 1546), domenicano, rappresentante della prestigiosa scuola giuridica di Salamanca e ritenuto padre fondatore del Diritto internazionale. Ma quanti degli spettatori delle suddette rappresentazioni sono in grado di applicare questo detto a quanto assistono? Molti non imboccano la scorciatoia di ritenere la Chiesa sempre e comunque, quindi anche oggi, una pura e semplice struttura di potere, in cui la prevaricazione detta comportamenti e suggerisce scelte politiche? Sarebbe, infatti, troppo facile usare le visioni di uomini di Chiesa ivi rappresentati per scagliarsi contro la comunità credente di tutte le stagioni e fornire alibi per l’allontanamento da essa.

Ma, proprio per fugare e smascherare tali posizioni, credo che dobbiamo andare più in profondità nella lettura-interpretazione delle vicende storiche che ci inquietano e ci interpellano, chiedendoci: ma come è possibile che la fede, di fronte a questo scempio, sopravviva e continui a fornire risposte di senso anche alle donne e agli uomini nostri contemporanei? Ebbene, persino in quei momenti bui, se leggiamo con attenzione le vicende e i personaggi, troviamo ampie motivazioni di questa 'resilienza della fede' e della capacità del Vangelo di vivere (non solo di sopravvivere) nella storia di quelle epoche e della nostra. Lo spettatore attento e scevro da pregiudizi, infatti, non mancherà di rilevare come, nella serie televisiva dedicata alla storia dei Medici, non venga messa in scena solo la corte pontificia di Sisto IV, bensì anche l’autentica fede di Clarice Orsini, moglie di Lorenzo, e del giovane Girolamo Savonarola. In particolare, colei che un quotidiano fiorentino ha definito «la rosa nell’ombra », non solo si prodiga per alleviare le sofferenze del popolo, angariato e ridotto a miseria, nel corso dell’assedio alla città, ma si preoccupa anche della salvezza dell’anima della gente, organizzando il battesimo di un neonato, ammalato, che gli sarebbe stato precluso a causa della scomunica comminata dal papa alla città di Firenze. La sua non è quindi mera filantropia, ma autentica carità, che si preoccupa della terra e del cielo, della povertà materiale e di quella spirituale dei suoi concittadini.

Quanto a fra’ Girolamo Savonarola, spicca il suo radicalismo evangelico, che lo condurrà, dopo un approccio giovanile simpatetico verso il Magnifico, a entrare in rotta di collisione con un umanesimo che, ai suoi occhi, si sta trasfor-mando rapidamente in neopaganesimo. La causa di beatificazione del frate domenicano, pur avviata nel 1997 nella diocesi di Firenze, procede con gande lentezza, nonostante il fatto che, a un anno dalla morte, la Chiesa avesse concesso di celebrare in suo onore Messa e Ufficio e ci sia da chiedersi quale autorevolezza e credibilità possa aver avuto una scomunica inferta da Alessandro VI Borgia e nonostante che grandi santi, come Filippo Neri e Caterina Ricci, avessero espresso nei suoi confronti profonda venerazione. Si tratta in questo caso di dipanare una serie di questioni storiche e di rivedere interpretazioni storiografiche, la cui corretta lettura richiede ovviamente molto tempo e il concorso di energie di studiosi qualificati e di diverse competenze, ma è fuori dubbio che egli rappresenti un esempio di fede autentica e profonda, di cui è espressione quella che è stata chiamata la sua «teologia del miserere» (Luigi Lazzerini).

A fronte di un «cristianesimo convenzionale » (famosa espressione di Wilhelm Hendrik van de Pol), quale quello rappresentato dal sacrestano, che coi suoi frettolosi inchini, si aggira in Sant’Andrea della Valle, nel primo atto di Tosca e in alternativa alla Chiesa, vissuta come struttura di potere, rappresentata da Scarpia (per il quale «ha più forte sapore la conquista violenta che il mellifluo consenso»), possiamo sperimentare la 'resilienza della fede' nella sua autenticità, che spicca dell’attitudine alla preghiera della protagonista dell’opera di Puccini e risulta pienamente evidente nella famosa aria 'Vissi d’arte, vissi d’amore'. Così si esprime, parlando della sua fede: «Sempre con fe’ sincera, la mia preghiera ai santi tabernacoli salì. Sempre con fe’ sincera diedi fiori agli altar ». E questa fede si nutre di devozione mariana: «Diedi gioielli della Madonna al manto, e diedi il canto agli astri, al ciel, che ne ridean più belli». Vive la sua arte come tributo al cielo e come momento espressivo di rapporto con l’Infinito. Né manca il grido di dolore, che ricorda le invettive di Giobbe: «Nell’ora del dolore perché, perché Signore, perché me ne rimuneri così?». E il tornare della domanda sul perché Dio non interviene a lenire le sofferenze dei suoi figli, non manca di commuovere e interpellare le donne e gli uomini di ogni tempo e di ogni latitudine. Riecheggia qui anche la fede autentica di Mimì, che nella Bohème aveva cantato: «Non vado sempre a Messa, ma prego assai il Signore». Fede semplice e ricerca dell’amore autentico, che ben si accordano, nell’ultima rappresentazione scaligera di Tosca, col finale, che non la vede precipitare al suolo, ma ieraticamente ascendere al cielo.

Cavaradossi rifiuterà i sacramenti, mentre si avvicina la sua esecuzione, certo perché percepisce, dietro la crudeltà di Scarpia, una Chiesa potente e cinica, che pure, di lì a non molto, subirà anch’essa la violenza del potere napoleonico nella figura dello stesso Pio VII, per il quale Antonio Rosmini pronuncerà uno splendido panegirico, in parte censurato dagli austriaci, perché conteneva una preghiera per l’Italia, di cui avremmo particolarmente bisogno oggi. Non sempre il filone carsico dell’adesione disinteressata e incondizionata al Vangelo emerge con chiarezza e forse spesso non viene colto dallo spettatore superficiale, che si stupirà per il persistere della fede cristiana, grazie alla resilienza di quanti l’hanno vissuta e la vivono in ogni epoca e in ogni luogo.

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