sabato 27 giugno 2020
Gli attori solidaristici transnazionali sono diventati fumo negli occhi per forze politiche che erigono la nazione e la sua sovranità a principi politici inderogabili
Crisi europea dell'accoglienza nell'era dei nazional-populismi

Ufficio stampa Oxfam

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La crisi europea (e occidentale) nei confronti dell’accoglienza dei rifugiati sarà probabilmente ricordata negli anni a venire per la concomitanza e la pressione esercitata dai nazional-populismi, diventati scomodi protagonisti dello scenario politico di diversi Paesi democratici. I fenomeni sociali e politici non hanno mai una sola causa. Movimenti e partiti anti-establishment e anti-immigrati erano sorti anche prima del 2015, anno emblematico della 'crisi dei rifugiati', o del 2011, anno delle 'primavere arabe': quella stagione di speranze che aveva messo in movimento una regione cristallizzata, finendo purtroppo nel tragico conflitto siriano, nella guerra civile libica, nella repressione egiziana di Al-Sisi, per citare soltanto gli sbocchi più sanguinosi.


Chi si appella a valori umanitari e al diritto internazionale costituisce il bersaglio dei partiti ostili alle migrazioni

L'ostilità verso gli immigrati e verso l’islam, con una diffusa sovrapposizione tra i due aspetti, ha rappresentato un marchio di fabbrica di questi movimenti: dal Front National francese alla Lega (Nord) italiana, da Alba Dorata in Grecia alla Lista Pim Fortuyn nei Paesi Bassi, dal Vlaams Blok nelle Fiandre Belghe al Partito della Libertà austriaco, fino ad altre formazioni analoghe nella regione scandinava. Gli attacchi terroristici perpetrati in diverse città europee hanno contribuito a rafforzare il nesso tra immigrazione, islam, minaccia securitaria, ampiamente sfruttato dai nazional- populismi. Più dell’80% dei rifugiati internazionali durante tutto questo periodo sono stati accolti nei Paesi in meno sviluppati, soprattutto quelli confinanti con le zone devastate dalle guerre, dalla persecuzione delle minoranze e dalle crisi umanitarie.

Nel 2015 e 2016 tuttavia i Paesi della Ue sono stati chiamati a un impegno di accoglienza significativo, con 1,3 milioni di domande di asilo nel 2015 e 1,2 milioni nel 2016. Questa domanda di apertura dei confini non era inedita, come è stato ripetutamente affermato, giacché negli anni 90, all’epoca delle guerre jugoslave, una Ue più piccola aveva accolto numeri analoghi di profughi. Per diversi anni era stato relativamente più agevole entrare in alcuni Paesi europei, come la Germania o la Svezia, in qualità di rifugiati che di lavoratori. In un panorama politico divenuto dagli anni 70 complessivamente sfavorevole all’immigrazione, i richiedenti asilo potevano fare appello a valori umanitari dai quali gli immigrati 'economici' non erano tutelati.

Si cerca di contrapporre élite globalizzanti a gruppi sfavoriti. Tesi facile ma sbagliata, perché congiunge il liberismo con l’accoglienza, facendo di entrambi i nemici della gente comune Al conflitto tra i bisognosi si accompagna una dimensione culturale, che ha conosciuto forse in Italia le sue espressioni più clamorose


Il salto di qualità della stagione più recente dei nazional-populismi europei è consistito dunque nell’attacco portato al liberalismo incorporato nelle Costituzioni nazionali, nei trattati europei e nelle convenzioni internazionali: nell’aver messo in discussione, come mai era avvenuto nel dopo-guerra in queste proporzioni, gli impegni derivanti dalla sottoscrizione di solenni documenti sui diritti umani, a partire dalla Dichiarazione dell’Onu sul tema. Riconoscere dei diritti 'universali' delle persone indipendentemente dalla loro appartenenza nazionale significa vincolare l’esercizio della sovranità statuale, accettando che in certi casi degli stranieri possano accampare dei diritti e ricevere dei benefici da uno Stato diverso da quello di cui sono cittadini. Rivendicare la sovranità nazionale, o l’asserita priorità dei diritti dei cittadini nazionali, comporta il movimento opposto: negare valore pratico, se non anche teorico, alle convenzioni internazionali e alle Costituzioni nazionali che allargano la missione delle autorità pubbliche oltre il perimetro dei cittadini che le eleggono.

Anche se sarebbe semplicistico individuare un punto di svolta, o un evento scatenante dell’avanzamento nazionalpopulista, una spinta è certamente venuta dall’agenzia Frontex, preposta al controllo delle frontiere della Ue con cospicua dotazione di personale e mezzi. Alla fine del 2016 il 'Financial Times' pubblicava alcuni estratti di un rapporto non ancora ufficiale di Frontex in cui si avanzavano dei dubbi su una presunta collaborazione, deliberata o involontaria, tra le navi delle Ong e le organizzazioni dei trafficanti nel trasferimento a bordo e quindi sul suolo europeo dei richiedenti asilo. Le accuse sono state sdegnosamente respinte dalle organizzazioni umanitarie, mai provate e infine ritrattate, ma un sito sovranista olandese le ha prontamente riprese, provocando una reazione a catena in tutta Europa. L’incidente è diventato il ferro di lancia delle veementi campagne di propaganda del fronte nazional-populista. Una prima linea di attacco è identificabile con la battaglia contro le Ong, non per caso analoga a quelle condotte da leader dalle dubbie credenziali democratiche, come Putin, Erdogan e Orban.

Gli attori solidaristici transnazionali, che si appellano a valori umanitari e al diritto internazionale, sono diventati fumo negli occhi per forze politiche che erigono la nazione e la sua sovranità a principi politici inderogabili, immemori di epoche infauste in cui i nazionalismi dettavano legge. Una versione estrema dell’argomento è la teoria del complotto, con il rilancio di vecchi testi xenofobi, come il cosiddetto 'piano Kalergi', inventato dal negazionista austriaco Gerd Honsik: una cospirazione per sostituire la popolazione europea con genti africane, arabe e asiatiche.

Una versione meno estrema ma più insidiosa dell’argomento, tanto da trovare credito anche in ambienti più moderati e discretamente colti, è quella che contrappone élite globalizzanti a popolazioni sfavorite, arroccate per scelta o per necessità entro i confini nazionali. Versione facile da comunicare, ma sbagliata, perché congiunge il liberismo economico con l’accoglienza umanitaria, facendo di entrambi i nemici della gente comune e delle sue piccole patrie.

Come se il liberismo si curasse di accogliere i profughi, e non sostenesse invece chiusure selettive dei confini, respingimento dei richiedenti asilo, accordi onerosi con i governi dei paesi di transito, come Libia e Turchia. In realtà, una volta impostato in questo modo il dibattito, è diventato agevole per i nazional-populismi erodere il terreno dei propri tradizionali antagonisti inalberando il vessillo della difesa delle classi popolari nazionali: precarizzate e impoverite dalla globalizzazione, e ora insidiate – nella narrativa sovranista – da nuovi competitori per l’accesso alle risorse scarseggianti del welfare e alle occupazioni modeste che ora sarebbero accaparrate dai nuovi arrivati a prezzi stracciati. Si giunge così al paradosso di forze che sostengono nello stesso tempo la riduzione delle tasse e la lotta (almeno dichiarata) alla povertà, additando nei nuovi arrivati i nemici di una più equa distribuzione delle risorse.

Alla contrapposizione tra i bisognosi si accompagna una dimensione culturale, che ha conosciuto forse in Italia le sue espressioni più clamorose e stridenti: la rivendicazione dei valori occidentali di libertà, tolleranza, emancipazione delle donne, nonché di un’identità nazionale minacciata. Come se non bastasse, a puntello di quest’ultima vengono arruolati simboli e valori religiosi. Mentre la Chiesa cattolica, e non da oggi, insieme alle altre Chiese cristiane si impegna per l’accoglienza, i nazionalpopulismi si fanno araldi di una versione culturalizzata del cristianesimo, brandita per serrare i ranghi, escludere i diversi, circoscrivere la solidarietà.

È il cristianesimo del Crocefisso, anziché della Croce; del Presepio, anziché di Dio fattosi uomo per amore; del Rosario, anziché di Maria, madre della misericordia. Nelle ultime tornate elettorali, il nazional-populismo è avanzato in diversi Paesi, ma in Europa non ha vinto. Il vero problema consiste nel fatto che la sua visione dell’asilo e dei diritti umani ha profondamente influenzato la politica mainstream; che i leader democratici, per sconfiggere i nuovi temibili avversari, ne hanno adottato in buona parte l’agenda, pur mantenendo un linguaggio più compassato e rispettoso. Il nazional-populismo è avanzato culturalmente e politicamente in Europa ben al di là del perimetro dei suoi risultati elettorali.

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