L’insegnante ferita che non trema e s’interroga
martedì 6 febbraio 2018

L’insegnante ferita che non trema e s’interroga Aproposito della professoressa che perdona lo studente che l’ha colpita in faccia con un coltello, vorrei dire: «Barbiana docet ». Pochi han notato come le due 'notizie' sulla scuola circolate su media vecchi nuovi, la settimana scorsa, si richiamassero: quella della maestra licenziata perché scrive 'squola' con la 'q' e 'sciaquone' senza la 'c', e quella della professoressa aggredita con una coltellata da un suo allievo (ricevuta e lodata ieri dal premier Gentiloni) che pensa di aver sbagliato lei, e si domanda dove. «Avrà ancora il coraggio di tornare in classe?» le chiedono. E lei: «Non vedo l’ora».

«Cosa sono i suoi studenti per lei?», «Sono miei figli». «Anche quello che le ha dato la coltellata?», «Anche lui». Se un figlio commette uno sbaglio, la madre non ricambia con uno sbaglio, ma cerca di guidarlo a non sbagliare più. Ci sono altre professoresse così? Tantissime. Non se ne parla mai. Di una maestra che scrive 'squola' con la 'q' tutti parlano, non per la gravità dell’errore, che non è immensa, ma per l’ottusità che mostra, perché una maestra entra tutte le mattine in un edificio sulla cui facciata sta scritto 'Scuola elementare', non vede che 'scuola' è scritto con la 'c'? Non lo nota? Non lo ricorda? Questo è grave. Perché studiare significa leggere e ricordare, e insegnare significa insegnare la lettura e l’apprendimento. Uno non può insegnare, se prima non ha appreso. E quindi la maestra di 'squola' e 'sciaquone' non può insegnare.

Per il resto, un illustre studioso di Glottologia, Carlo Tagliavini, sosteneva che scrivere 'quore' con la 'q' non è un errore imperdonabile. Certo però, se uno fa il cardiologo ed entra tutte le mattine in una clinica di Cardiologia… Si è parlato troppo della maestra che scrive 'squola' e poco della professoressa che, ricevendo una coltellata da un allievo, si domanda: «Dove ho sbagliato?». Credo sia giusto parlare di più di questa seconda notizia. Le notizie non sono mai quel che paiono a prima vista. Una ragazza tossicodipendente è stata uccisa a Macerata, uno spacciatore nigeriano è stato arrestato con l’accusa di esser l’assassino, un simpatizzante di destra ha fatto una scorribanda armata sparando alle persone di colore che incontrava, sono tre colpevoli della droga, dello spaccio, del razzismo?

Il vescovo di Macerata, Nazzareno Marconi, esclama: «Povera vittima, povero assassino, povero giustiziere! E povera società nostra che li ha generati! La ragazza caduta nella droga, il ragazzo che l’ha fatta a pezzi, l’uomo che ha sparato per vendicarla, sono tre testimoni di una catena di fallimenti che ci riguarda tutti». 'Ci riguarda' vuol dire che ci siamo dentro. Per la stessa ragione la professoressa colpita con una coltellata in faccia si domanda se non sia lei che ha fallito. Noi non troviamo niente di sbagliato nel suo comportamento: ama il suo lavoro e ama i suoi alunni come figli, anzi sono i suoi figli, lei non ne ha altri. Quello che stava interrogando lo aveva avvisato, era un’interrogazione programmata, era già stata rinviata una volta, evidentemente il ragazzo voleva boicottarla. Accusando dei mal di testa. Ma aveva anche un coltello, dove se l’era procurato? «Trovato per terra».

Risposta in malafede. Le ha dato una coltellata in faccia, cosa voleva farle? «Un graffio». Risposta in malafede: la ferita è lunga 11 cm ed è stata cucita con 32 punti. L’insegnante non aveva previsto nulla, credeva che l’alunno le mettesse una mano sulla spalla. Ferita e ricoverata, pensa sempre a quell’allievo: «Sento di aver fallito, è come se avessimo fallito noi come scuola». La speranza è che nessuno «si perda per strada», neanche il ragazzo col coltello. Ma se questo ragazzo verrà corretto e recuperato, il merito sarà dell’insegnante-madre e dello strumento che usa nella didattica: l’amore. Barbiana insegna.

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