giovedì 27 marzo 2014
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Gentile direttore,siamo le organizzatrici del corso di formazione per insegnanti negli asili nido e nelle scuole d’infanzia “La scuola fa differenza”, che ha la finalità di «promuovere una educazione attenta a non perpetrare stereotipi di genere e razziali, valorizzando le differenze nei contesti scolastici ed educativi». In relazione all’articolo di Luca Liverani («Gender, a Roma maestre “rieducate”. Famiglie in allarme») pubblicato su “Avvenire” dello scorso 12 marzo facciamo presente che: 1) L’Italia è uno stato laico, plurale e democratico e il Comune di Roma (Dipartimento Servizi Educativi e Scolastici di Roma Capitale) ha autorizzato il nostro corso su gara 2013, in applicazione delle proprie direttive: «Promuovere progetti formativi speciali, volti a introdurre sperimentazioni su approcci pedagogici innovativi che stimolino nuovi modi di fare educazione»; 2) il corso di formazione si rivolge solo alle/agli insegnanti e in nessun corso di formazione si prevede il coinvolgimento decisionale, il controllo e la partecipazione dei genitori. 3) Siamo stupefatte da interpretazioni che distorcono totalmente il progetto e le sue finalità: «Costruzione dell’identità di genere; sviluppo della libera espressione della personalità nel rispetto degli altri/e e delle differenze individuali; parità donna-uomo; pluralità dei modelli familiari e dei ruoli sessuali; contrasto al sessismo della lingua e nella cultura italiana; lotta all’omofobia, al bullismo e a ogni forma di violenza sulle donne». (Linee guida espresse e ribadite dal Consiglio d’Europa e dalla Unione Europea).Monica Pasquino, per S.co.s.s.e. Associazione di promozione sociale e Archivia archivi, biblioteche e centri  documentazione delle donneCiò che lei, gentile signora Pasquino, ritiene di dover sottolineare con questa lettera – che mi invia a nome e per conto delle organizzatrici di quelli che abbiamo definito corsi di "rieducazione" per insegnanti – è esattamente (virgolettati compresi) quanto abbiamo già illustrato nel preciso e circostanziato articolo di Luca Liverani pubblicato non il 12 marzo, ma il 23 febbraio scorso. In esso abbiamo dato conto dell’allarme scattato a causa delle importanti attività formative e culturali promosse dalla giunta Marino che risultano caratterizzate da un’impostazione filo-gender (ovvero l’articolata visione di quanti sostengono che l’identità sessuale delle persone non ha fondamenti di natura femminile-maschile, ma piuttosto e solo una base culturale e perciò mutevole). È questo che, anche a Roma, ha motivato e motiva un profondo dissenso di famiglie e associazioni familiari. E la protesta è stata ed è resa più acuta – del resto, lei stessa tiene a ribadirlo – dall’assoluta esclusione dei genitori da qualunque informazione e/o coinvolgimento a proposito dei corsi per insegnanti finalizzati a portare nell’istruzione dei loro figli – in una fascia d’età compresa, si noti, tra 0 a 6 anni – la «costruzione dell’identità di genere» e la «sperimentazione delle differenze» e di una «pluralità dei modelli familiari e dei ruoli sessuali». Un’esclusione quella di padri e madri, bisogna pur dirlo, smaccatamente "dirigista" e condotta con l’insopportabile piglio del "te lo erudisco io, il pupo…".  Il sacrosanto rispetto per ogni persona e il contrasto a ogni forma di violenza morale e materiale, purtroppo appare solo il contorno di questo piatto indubbiamente "forte" e per più di un ingrediente indigeribile che viene presentato con brusco sussiego. Quanto al primo punto illustrato nella sua missiva, il fatto che il Comune di Roma abbia autorizzato lei e le sue colleghe significa semplicemente che approva la vostra impostazione. Dunque, godete di un pieno sostegno politico "dall’alto" ma, appunto assieme alla giunta Marino, subite anche una contestazione "dal basso". Succede in uno Stato laico, democratico e pluralista (sa, gentile signora, la Repubblica anche se rispetta le autonomie non è, come lei scrive, «plurale», ma è «una e indivisibile»). Di tutto questo, con correttezza, abbiamo dato e continuiamo a dare conto. Perché in democrazia c’è piena libertà di civilmente dissentire da chi esercita il "potere" di cui dispone (per esempio, un Comune) o che gli viene attribuito (per esempio, le vostre organizzazioni). Soprattutto se l’esercizio del potere è discutibile o proprio cattivo. E c’è anche libertà di stampa.
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