Cooperare e ricostruire
giovedì 17 novembre 2022

Un G20 asiatico assai decentrato, si sarebbe detto, quello che si è chiuso in Indonesia, mentre la Storia bussava in Europa, a migliaia di chilometri di distanza, in una notte drammatica che ha visto il rischio di un allargamento del conflitto ucraino all’intera Nato. Lontanissimo da Bali, peraltro, è risultato anche un altro polo decisivo del futuro del pianeta, ovvero la Conferenza sul clima edizione numero 27 che si sta svolgendo a Sharm el-Sheikh. Ma anche in questo contesto la riunione di tutti i maggiori leader, con l’eccezione non casuale di Vladimir Putin, può avere messo i semi per una nuova consapevolezza che l’ordine internazionale può andare facilmente in pezzi e che le conseguenze rischiano di andare fuori controllo.

Il fragile edificio della globalizzazione è già stato messo a dura prova dal Covid-19, ma l’invasione russa dell’Ucraina ha definitivamente rotto i già precari equilibri globali. Mosca era stata esclusa dal G8 dopo l’annessione della Crimea, senza che si prendesse in considerazione la grande dipendenza energetica dell’Europa e il crescere delle tensioni. E di fronte al fallimento sul campo dell’«operazione militare speciale» voluta dal Cremlino è riemerso, nelle ultime settimane, lo spettro dell’opzione nucleare, vera linea rossa il cui attraversamento sembrava ormai impensabile dopo la fine della Guerra fredda.

Il tentativo dell’Occidente di isolare la Federazione russa dal consesso mondiale si è scontrata in questi mesi con il sostanziale appoggio cinese in termini di aggiramento dell’embargo e di sponda diplomatica, che ha fatto da catalizzatore a un’ampia riluttanza di Paesi grandi e piccoli, dall’India al Sudafrica, a prendere apertamente le parti della causa ucraina.

In generale, non per simpatia diretta verso Putin, piuttosto per radicata ostilità o diffidenza verso gli Stati Uniti e persino verso l’Europa. I primi sono ritenuti ancora animati da una volontà di controllo unipolare (pesano gli interventi in Afghanistan e Iraq). Alla seconda si imputa di essere portatrice di una visione di democrazia e diritti incompatibile con i percorsi che gli Stati protagonisti delle crisi recenti vogliono perseguire, Siria e Iran, tra gli altri; ma è ugualmente accusata di usare assai spesso due pesi e due misure (non ultimo il caso del mondiale di calcio in Qatar, le cui ombre sono state totalmente ignorate fino alla vigilia).

Si tratta delle differenze che mettono in frizione la Cina con l’Occidente e hanno provocato un riacutizzarsi delle distanze su dossier più sensibili per Pechino, a partire dalle mire su Taiwan e la repressione degli uiguri nello Xinjiang. Il progetto di Xi è di predominio economico sostituendo la primazia americana, ma si avvale di strumenti diversi da quelli messi in campo da Putin, essendo basati, paradossalmente, sul mercato e sul bastone e la carota della potenza finanziaria. La partita a Bali sembrava dunque difficile e destinata a un sostanziale stallo dietro ai sorrisi e alle strette di mano di circostanza. Lo svolgimento è stato invece più promettente delle attese.

L’assenza del leader del Cremlino, alle prese con un andamento negativo sul terreno e una situazione interna da gestire con cautela, ha permesso di creare un clima più favorevole alla condanna dell’aggressione russa, ponendo Mosca in una posizione marginale, sebbene con i distinguo di Cina, India e Arabia Saudita. È stato tuttavia il disgelo che Biden ha cercato con Pechino a dare il là a un possibile riavvicinamento del fronte delle democrazie con il gigante asiatico, in prospettiva di una ricostruzione dello status quo che salvaguardi da un’apocalisse atomica e permetta di tutelare gli interessi non solo nazionali danneggiati dalla guerra nel cuore dell’Europa. La dichiarazione finale riafferma le vie della cooperazione per lo sviluppo sostenibile senza che nessuno ne sia escluso e ribadisce che «l’uso o la minaccia di uso di armi nucleari è inammissibile. La risoluzione pacifica dei conflitti, gli sforzi per affrontare le crisi, così come la diplomazia e il dialogo sono vitali». Parole pesanti ma non raramente nei vertici periodici destinate a rimanere sulla carta.

Questa volta il percorso stretto e difficile può diventare agibile nel momento in cui si è avuta una prova angosciosa dei pericoli che il mondo intero sta correndo, come è accaduto l’altra notte nelle ore frenetiche seguite alla caduta assassina di pezzi di missile in Polonia.

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