La mia parrocchia è assediata. Sono quasi mille gli uomini delle forze dell’ordine che giovedì mattina hanno invaso il quartiere per eseguire gli sfratti di 36 famiglie. Una grande tristezza mi invade. Non sono un carabiniere che deve obbedire agli ordini, sono il parroco, il padre, il prete che avrebbe voluto, negli anni, riportare questo territorio nei confini della legalità; nell’aiutare le persone a vivere, cioè, onestamente, serenamente, facendo il proprio dovere e potendo accedere ai propri diritti. È stata un’impresa. Tenere insieme l’amore per la giustizia e desiderio di misericordia non è facile. La misericordia implora ciò che la giustizia, per sua natura, non può dare. Beati gli uomini di giustizia che hanno davanti a sé un percorso tracciato, linee di demarcazione nette, una Carta cui essere fedeli, uno Stato da servire. Nell’esercizio delle sue mansioni, l’uomo della giustizia deve saper mettere a tacere il cuore. La legge va rispettata. Non così l’uomo del Vangelo. Sempre in bilico, sempre inquieto, perennemente in pace. Arrabbiato e clemente. Denuncia con forza il peccato ed è pronto a schierarsi con il peccatore.
Non ha nemici, pur sapendo di fare antipatia a quelli che vorrebbero zittirlo. Il prete. Meglio, il parroco, in relazione particolare con quella parte di Chiesa che diventa la sua parrocchia. Guarda, ascolta, osserva, richiama, consiglia, predica, prega. Difende il debole dal prepotente fino a quando è debole. Lo tradisce se dovesse, a sua volta, farsi tiranno di chi è fragile. Non tutti i parroci hanno in dono la grazia di essere pastori di pecorelle docili e obbedienti. Non tutte le parrocchie si somigliano. L’uomo, prima di ogni altra cosa, viene sempre l’uomo, questo capolavoro che ha fatto innamorare di sé finanche Iddio. Quando si smarrisce tenta di recuperarlo. Lo rimprovera, ben sapendo che non sempre la sua presenza è gradita a chi ha intrapreso una brutta scorciatoia. Gli dice di non mettersi nei guai, glielo ripete senza complimenti, lo strattona, gli viene voglia di prenderlo a sberle. Al momento opportuno si fa da parte. Lo osserva quando fa sfoggio di ricchezze accumulate disonestamente. Gli sbatte in faccia la verità. Intanto grida alle istituzioni di farsi presente e di fare, a loro volta, il proprio dovere. Si portano, queste ultime, un peso enorme sulla coscienza riguardo la mia parrocchia. Come è stato possibile per più di 250 famiglie occupare illegalmente le proprie case per decenni? Sarebbe bello se, andando a ritroso, si potessero rintracciare i veri responsabili. Vana speranza. I poveri veramente tali, quelli che un tetto non lo avevano, erano, e sono, in qualche modo giustificati. Ma gli altri? Quelli appartenenti al mondo degli scaltri – chiamateli camorristi, mafiosi o come meglio credete – che vivono appollaiati sulle spalle della gente, mangiando a sbafo, senza fare un solo giorno di lavoro, senza dare un minimo contributo per il bene comune? Purtroppo, quando la scure della legge si abbatte, quando i nodi vengono al pettine, quando lo Stato, senza infingimenti, fa lo Stato anche dal punto di vista repressivo, non sempre tiene conto delle tante realtà familiari.
C’è chi ha sbagliato nel passato, ma adesso, lentamente, faticosamente, andava riprendendosi; ci sono genitori onesti che soffrono per il figlio malavitoso; ci sono i bambini, i vecchi, gli ammalati, anche costoro sono stati sfrattati. Dolore. Lacrime. Invocazioni. Rabbia. Maledizioni. Offese. A chi, se non alla persona più vicina. Al loro parroco, cui, forse, hanno attribuito un potere che non ha mai avuto. Dopo aver ingoiato l’amarezza, dopo un’altra notte insonne, mi convinco che sia giusto così. Se ti metti in gioco non puoi più tirarti indietro. Il tuo “eccomi” non vale solo per le celebrazioni solenni. I camorristi, costoro sì, hanno ragione a denigrare il parroco che da sempre denuncia le loro malefatte. Oggi non vogliono andarsene, non vogliono abbandonare le loro “piazze”. Si ribellano. Recalcitrano. Alzano la voce. Minacciano. Li capisco. E sono certo che anch’essi mi capiscono. La grande pena che fa sanguinare l’animo è per coloro che di questa gente è stata vittima e che oggi si ritrovano senza casa. Il mio cuore è vicino a loro. Ci sono oggi come ci sono sempre stato. Il risanamento del quartiere, però, da quasi 40 anni in preda all’anarchia, andava fatto. Con tutte le forze rimarremo accanto agli onesti che al “Parco Verde” sono dei veri eroi.