giovedì 22 aprile 2010
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Antenne, cavi, satelliti, connessioni perpetue, archivi sterminati, con i fili e senza fili, possibilità di ascoltare chiunque e parlare con chiunque in qualsiasi momento, annullando il tempo e lo spazio. E poi informazioni, una valanga di informazioni… un’ondata da cavalcare, se sei abbastanza abile. Una valanga che ti può travolgere e soffocare, se non lo sei. L’era crossmediale è questo e molto altro. È un quotidiano che transita da un sito internet e vola nella tv sbriciolandosi in un ipad per ritornare carta stampata e ri-sbriciolarsi in mille archivi. È la sensazione di ebbrezza di trovarti al centro del mondo, dei fatti e delle idee anche se fisicamente sei in periferia, nella tua stanza in una metropoli come su un remoto prato alpino, ma con la connessione attiva. L’era crossmediale la senti respirare in infiniti modi: dalle chiacchiere a vuoto del rompiscatole che urla i fatti suoi sul tram affollato di umanità già stressata di per sé o sulla poltrona del Frecciarossa tra manager in giacca e cravatta, ciascuno armato di pc e cuffie; ai teneri scambi di sms tra due adolescenti che giocano all’antichissimo gioco del corteggiamento, o tra amici che si mettono d’accordo per la serata; e soprattutto nell’ultimo marchingegno in mano a chi se l’è appena conquistato, e gli occhi gli brillano perché ha la sensazione di essere più alla moda, quindi rispettato e perfino temuto, e più al centro del mondo, più libero e forte perché questo suggerisce la tecnologia a chi docile la asseconda, di stare in prima fila, non in coda al gruppo.La cultura – i modelli di pensiero, gli stili di vita – transita sempre più da questi incroci. La crossmedialità fa circolare la cultura, e nello stesso tempo la plasma, la trasforma, la alimenta. Mai come oggi è vera la profezia di MacLuhan: sì, il medium è il messaggio. E mai come oggi c’è bisogno di gente libera e consapevole, capace di orientarsi agli incroci, decidendo lei dove andare, senza farsi travolgere dal traffico. C’è bisogno di abilità critica.Non c’è bisogno solo di una élite genialoide che pensi al posto degli altri. Abbiamo bisogno di un intero popolo che scopre il gusto, la fatica, il divertimento, la passione dell’abilità critica, un popolo capace di scegliere e non di essere scelto.Anche questo è Progetto culturale? Crediamo di sì. E se i cattolici – capofila di ogni italiano dal cervello sveglio – vogliono avere qualche speranza di continuare a saper pensare liberamente per dire parole libere, ossia pensieri e giudizi e progetti cristianamente ispirati, bisognerà che afferrino per le corna la crossmedialità, servendosene senza farsene servi.Di questo, e di molto altri, si parlerà da oggi pomeriggio a sabato mattina a Roma, al convegno "Testimoni digitali", in continuità con "Parabole mediatiche" di otto anni fa. L’obiettivo è che gli animatori della comunicazione e della cultura aumentino nel mondo cattolico di numero e in competenza. Che ogni comunità si domandi: siamo abili criticamente? Siamo alfabetizzati? Secondo Tullio De Mauro, soltanto tre italiani su dieci sanno scrivere in modo comprensibile e leggere un testo capendone il senso. Eppure i rimanenti sette non sembrano preoccuparsene, forse perché possono accedere alla crossmedialità, inebriati dagli apparenti superpoteri conferiti dalla tecnologia della comunicazione. Si illudono di comunicare, ma sono soltanto consumatori di comunicazione.Senza abilità critica ogni parola risuona nel vuoto. Con l’abilità critica, anche la parola più minuscola può risultare fragorosa.
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