venerdì 30 luglio 2010
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Comunque andrà a finire la vicenda dello spinoso divorzio tra Berlusconi e Fini, sembra oggi difficile non cantare il Requiem per i sogni di bipartitismo all’italiana. Il nostro instabile sistema, con l’accelerazione sul Pd voluta da Veltroni e la rapida contromossa di Berlusconi con la fondazione del Pdl, sembrava destinato, più nelle intenzioni che nei fatti, a evolvere rapidamente verso una forma di quasi-bipartitismo.Le questioni irrisolte nel più grande partito di opposizione e, soprattutto, la crisi tra i due leader del centrodestra (crisi che è personale, ma anche programmatica e politica) dimostrano che quell’operazione speculare di semplificazione del quadro politico era stata fatta frettolosamente, lasciando molti nodi aggrovigliati. Già questo era possibile intuirlo il giorno dopo il risultato elettorale, che sanciva la presenza scomoda e determinante, in ciascuno dei due campi, della Lega Nord e dell’Idv di Antonio Di Pietro. E che manteneva intatto il consenso ai centristi di Casini.Rispetto a quella momento, molte cose sono successe, scompaginando ulteriormente il quadro politico. C’è stata, nel Pd, la scissione dei rutelliani, mentre alcuni democratici di area moderata sono andati a ingrossare le file dell’Udc. E un esponente della sinistra radicale, come Nichi Vendola, si è imposto alla primarie pugliesi, contro la volontà dei vertici del Pd.La Lega, alle regionali, è cresciuta a scapito dell’alleato maggiore. E continua a capitalizzare le difficoltà altrui (dissimulando le proprie). Ora arriva anche la spaccatura del Pdl, con la creazione di un soggetto finiano. La realtà, a dispetto di una legge elettorale fortemente penalizzante per i partiti minori, consegna una fotografia molto frammentata. E apre una stagione di forte instabilità a livello parlamentare. Ci vorrebbe la sfera di cristallo per capire, oggi, come si concluderà la legislatura. Se Berlusconi arriverà alla fine potendo contare sulla sua maggioranza blindata, magari con qualche colpo d’ala e d’ingegno. Se dovrà invece acconciarsi a contrattare di volta in volta il consenso dei finiani. Se si dimetterà, provando ad arrivare alle elezioni, schivando il rischio per lui letale del governo istituzionale. Le variabili non mancano. L’unica certezza in tanta nebbia è che la complessità italiana (che per qualcuno è frammentazione, per altri pluralismo) ha rotto la fragile camicia di forza che le era stata imposta ed è tornata prepotentemente a bussare al portone principale della politica. Con essa bisognerà pur fare i conti.
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