venerdì 23 luglio 2010
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Molto attesa e in larga parte prevista, la sentenza della Corte di Giustizia Onu dell’Aja ha sancito che la proclamazione d’indipendenza del Kosovo non ha violato la legge internazionale. Un giudizio dal valore puramente consultivo, ma destinato a pesare sul faticoso processo di riconoscimento del Kosovo (passo al momento compiuto da 69 Paesi sui 200 rappresentati all’Onu, e da 22 sui 27 dell’Unione Europea), e infatti accolto con soddisfazione dalle autorità kosovare.Al di là dei tecnicismi e delle ragioni della Serbia, promotrice di una causa dagli argomenti legali piuttosto deboli, il tribunale ha recepito lo spirito politico del tempo, l’umore internazionale che, dalla proclamazione dell’indipendenza (17 febbraio 2008), per non dire dai tempi dell’amministrazione Onu (1999-2006), soffia con decisione per l’autonomia del Kosovo e il ridimensionamento della Serbia. Giusto per non lasciar spazio a equivoci dell’ultima ora, alla vigilia del pronunciamento dell’Aja la Casa Bianca, attraverso il vicepresidente Biden, ha ribadito «il sostegno degli Usa a un Kosovo indipendente» e inserito «nelle istituzioni europee e atlantiche», preceduto di soli pochi giorni da Tony Blair, che si è recato in visita a Pristina.Il solito fronte anglo-americano, insomma, con l’aggiunta di un cospicuo gruppo di Paesi europei tra cui Italia, Germania e Francia. Per una volta le due sponde dell’Atlantico unite in una partita che ha come posta non tanto (e certo non solo) la causa dei kosovari ma piuttosto il controllo strategico dei Balcani e delle rotte che portano gas e petrolio verso Occidente e che, appunto, li attraversano. La Serbia è rimasta l’unico "piede" della Russia nella regione. I Balcani controllati (com’era un tempo) dalla politica filo-russa della Serbia avrebbero garantito al Cremlino, che a sua volta controlla le forniture di gas e petrolio, un potere enorme sull’Europa e, per conseguenza, una leva contrattuale assai efficace anche nei confronti degli Usa.Il Kosovo indipendente (ma anche fortemente infiltrato dalla criminalità e da traffici di ogni genere) e inserito nella Nato serve soprattutto a questo. E infatti l’Europa è spaccata in due: la maggioranza che tiene d’occhio lo sviluppo e i suoi costi da un lato (pro Kosovo), la minoranza che ha problemi di separatismi e autonomismi vari (Spagna, Grecia, Cipro, Romania e Slovacchia) dall’altra. La prima di queste due Europe ha, in tutta la questione, un ruolo decisivo. Offre alla Serbia una speranza d’ingresso nella Ue: per pacificarla o tacitarla, ma anche per portare a compimento quel distacco dall’orbita russa che il "trauma kosovaro" rischia invece di accentuare. Ed è assai probabile che a Belgrado, prima o poi, anche l’orgoglio nazionale debba inchinarsi di fronte alla convenienza, vista anche la minore solvibilità di Mosca ferita nel portafogli dal calo dei prezzi del petrolio.Resta sullo sfondo il tema del diritto dei popoli all’autodeterminazione, che pure era teoricamente al centro del giudizio della Corte Onu. Se i kosovari avevano diritto a costituire uno Stato indipendente, perché non ce l’hanno anche i curdi in Turchia, i ceceni in Russia, gli armeni in Azerbaigian (Nagorno Karabakh), gli abkhazi in Georgia, i tamil nello Sri Lanka, i tibetani e gli ujguri in Cina? Non si sa, e in realtà non vi sono ragioni coerenti per giustificare il sì agli uni e il no agli altri (o viceversa). Ma, come si diceva, c’era in ballo ben altro che un nobile principio.
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