mercoledì 4 maggio 2011
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Affiancare Osama Benladen a Giovanni Paolo II. Il Mistero che governa la storia degli uomini ha compiuto ciò che altrimenti sarebbe sembrata una bestemmia. Non sarà per caso. Da giorni l’informazione che inonda le case del mondo intero è attraversata come da un sottile diaframma che separa ma non scinde due eventi, le vicende di due uomini che hanno segnato indelebilmente – seppure agli antipodi – gli anni appena trascorsi. Due figure così diverse e imparagonabili, un Pontefice riconosciuto Beato e un capostipite del terrorismo ammantato di pretesti religiosi, costrette a convivere sulle prime pagine di giornali e tg. Non possiamo non interrogarci su una così bizzarra, quasi oscena coincidenza. L’animo sussulta, la ragione si ribella: perché? Non sarebbe stato giusto, e bello, soffermarsi ancora e lasciarsi portare da quella folla che invade la Città Eterna, accorsa da tutto il mondo come in quei giorni di sei anni fa per accompagnare il Papa camminatore nel doloroso ultimo viaggio terreno, e compiere con lui, dietro di lui, il cammino glorioso verso il Cielo? Ricordarlo, ringraziarlo, goderne ancora la familiare, paterna compagnia?Ma apriamo gli occhi, guardiamo oltre i titoli che vanno a caccia dell’ultimo orribile particolare sul blitz in Pakistan: dopo due giorni di ininterrotto omaggio la bara di Giovanni Paolo II è stata collocata sotto l’altare della cappella di San Sebastiano nella Basilica di San Pietro. E il flusso dei pellegrini, fermato per qualche ora, fin dall’alba di ieri è ripreso incessante, raccolto e gioioso. Come allora, come in questi anni, come domenica e lunedì. Come domani e chissà fino a quando. Ci sono i religiosi e i laici, i polacchi, gli italiani e gli africani, i malati, gli anziani. E i giovani, quelli un po’ cresciuti che sono "partiti" con lui negli anni dell’adolescenza e continuano a camminare, fedeli e riconoscenti come il primo giorno. E i ragazzi di oggi, che magari ricordano di aver ricevuto una carezza sui sentieri di montagna o che risentono la sua voce, se la portano dentro e desiderano ancora esserne accompagnati. La suora miracolata accanto ai tanti che vengono a ringraziare per i mille piccoli-grandi miracoli rimasti nel segreto.La santità si manifesta in vita, si è manifestata per Giovanni Paolo II in quel «capolavoro che con l’aiuto di Dio ha fatto della sua vita», come ricordava commosso un testimone privilegiato, Joaquin Navarro Valls, nella veglia di sabato al Circo Massimo. E la santità sprigiona vita anche dopo la morte, basta volerlo vedere, anche nella "tavolozza" multicolore di due milioni di persone autoconvocate da ogni dove per una celebrazione e per un fugace passaggio davanti a una tomba. Lo dicono gli occhi, i gesti, le parole, le opere.Anche Osama è morto. Nessuno gioisca, nessuno se ne compiaccia. Si preghi per l’anima, sull’invito del cardinal Bagnasco, riflettendo con il portavoce vaticano padre Lombardi «sulle gravi responsabilità di ognuno davanti a Dio e agli uomini». Benladen ha seminato odio e morte, e la sua morte ha avuto come diretta conseguenza l’innalzamento del livello di allarme e delle misure di sicurezza in tutto il mondo. Da quella morte non siamo legittimati ad attenderci altro che morte. Ancora una volta: ciò che sarà alla fine è già scritto in ciò che si è seminato in vita.La storia li ha messi vicino, e a noi che ci interroghiamo risuonano quelle parole scandite con dolce fermezza: «Non abbiate paura…».
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