venerdì 19 febbraio 2016
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​Gentile direttore,
si fanno sempre molte confusioni sulla coscienza, adesso anche a proposito delle unioni civili. Bisogna distinguere tra il comportamento individuale e il voto per una legge; e, per questa, tra le indicazioni di partito e quelle della Chiesa. Alcuni partiti propongono il «voto di coscienza», cioè senza vincoli, e molti “onorevoli” protestano, vorrebbero essere obbligati… dimenticando (come al solito) l’art. 67 della Costituzione, che impone a ogni onorevole di votare «senza vincoli di mandato». Lo stesso vale per la Chiesa. Principio fondamentale della morale dogmatica della Chiesa è che «attraverso il giudizio della propria coscienza che l’uomo percepisce e riconosce i precetti della legge divina»; «l’essere umano deve sempre ubbidire al giudizio certo della propria coscienza» (§§ 1778 e 1790 del Catechismo). Trent’anni fa un mio amico, quando l’avvertii che secondo la morale della Chiesa l’ultimo giudice delle azioni di un uomo è la sua coscienza, mi rispose che era «troppo scomodo» e che lui preferiva attenersi a norme rigide; quando recentemente gli ho ricordato lo stesso principio, mi ha obiettato che «è troppo comodo» e che ci vogliono norme rigide. È così, per chi non ascolta la coscienza. Cosiddetti “onorevoli” e sedicenti “cristiani” vogliono norme per votare delle norme… Il comportamento individuale deve essere disciplinato da norme legali quando c’è il rischio di danni (fisici o morali, diretti o indiretti) ad altri o alla società; questo è difficile da valutare, e cambia nel tempo. La coscienza individuale, per chi la ascolta, può essere più rigida della legge, ma deve esserlo anche nel rispettare le coscienze altrui (San Paolo diceva che si può mangiare di tutto, ma raccomandava di non farlo in presenza di chi ha dei tabù alimentari). Anche quando si tratta di minoranze. Sulle unioni civili c’è poi anche una questione di linguaggio, che si presta a derisioni, ma che ha un suo senso, come ogni questione di principio, come il rispetto per la bandiera o il valore dei simboli: ci sono coppie etero libere (cioè che potrebbero sposarsi) che chiedono gli stessi diritti (e accettano gli stessi doveri) delle coppie regolarmente sposate, ma rifiutano il matrimonio formale per una questione di principio, e parallelamente coppie omo che non si contentano di una legislazione che conceda loro gli stessi diritti (e doveri) di quelle sposate, ma chiedono un riconoscimento formale di matrimonio; in entrambi i casi non è solo questione di termini, come può sembrare, bensì di simboli, di bandiera, di principio, appunto. Perché alcune coppie regolarmente sposate si oppongono a tali richieste? Temono che ne venga indebolita la loro unione? Hanno così poca fiducia nel loro rapporto d’amore? Pensano che accettare altri sotto la stessa bandiera sia un insulto alla bandiera o che i loro siano privilegi da non condividere con altri? Mi è ancor più difficile capire perché vi si oppongono coppie irregolari o single di ogni genere. A meno che la molla sia, in tutti i casi, la ricerca di quattro voti in più in occasione delle prossime elezioni. Il che ovviamente non giustifica i vergognosi insulti che i bloggers rovesciano su chi la pensa diversamente da loro.
Lodovico Cardellino - Aosta
Per come lo vivo – da cittadino, da cronista e da cristiano – il problema “di coscienza” che abbiamo davanti, e che i parlamentari dovrebbero avere ben chiaro, non è quello di imporre (o di negare) qualcosa a qualcuno. Anzi, gentile signor Cardellino, mi sento di dire che nessun vero cattolico coltiva questa intenzione e ha questa pretesa. Ma è fuor di dubbio che legiferare sulle «unioni civili», oggi più di ieri, significa intervenire su questioni e avviare processi delicatissimi. Li sintetizzo e li elenco: i diritti e i doveri che discendono da una convivenza tra persone dello stesso sesso (e, dunque, strutturalmente non matrimoniale, cioè non generativa), il desiderio e l’esercizio della genitorialità, i diritti di ogni figlio, la dignità e la possibile riduzione a “cosa” e a “prodotto” di esseri umani (uteri in affitto, commercio di gameti e di bambini). Pensando a tutto ciò, mi chiedo come qualcuno nel Pd, partito di maggioranza relativa, si sia potuto illudere di chiudere una partita culturale e politica di così grande rilievo con un salto di “canguro” sopra i problemi e arrivando persino a inveire, intimando la pronta irreggimentazione degli obiettori al semplicistico “tutto a posto, tutti a posto” e la compressione dello spazio di libera coscienza dei parlamentari. Una coscienza che nel caso di un cristiano deve essere «ben formata». Lo dice espressamente il Catechismo, che lei cita in modo certamente appropriato, e che ieri papa Francesco è tornato a ricordarci, completando – per così dire – la sua lettura del testo. Nel caso specifico, il problema non è dunque imporre o limitare vita e scelte di altri, cioè delle persone omosessuali, ma far sì che nessuna donna, nessun uomo e nessun figlio siano mai ridotti a “cosa”, a mero oggetto di desiderio, di manipolazione e di mercato. Ed evitare che questo accada per prepotenza fuorilegge o per errori della legge. Ecco perché, con tutta la coscienza e la passione di cui siamo capaci, cerchiamo di fare questa “battaglia” di amicizia per l’umano in modo davvero disarmato e coinvolgente, perché nessuno vogliamo ferire e niente e nessuno possiamo dimenticare. Certo, non il senso e il concreto ruolo – che per i credenti sono specchio del sentimento di Cristo per la Chiesa e per l’intera umanità – della famiglia “naturale”, che in Italia può essere detta anche “costituzionale” e che alcuni, persino tra noi, chiamano (con diversi gradi di condiscendenza e di disprezzo) “tradizionale”. Cioè della famiglia riconosciuta come «società naturale» fondata sulla relazione forte e pubblicamente affermata (matrimoniale, appunto) tra una donna-madre e un uomo-padre. La famiglia pur investita da sempre da pretese che la irrigidiscono sino a sfigurarla o, all’opposto, da critiche e sabotaggi che la debilitano sino a svalutarla è, infatti, e resta il “luogo” che più e meglio custodisce e sviluppa la vita dei figli generati e quella prospettiva umanizzante della nostra società, che sta a cuore a tutte le persone di buona volontà. Coi miei colleghi cerco di fare tutto il possibile per rendere chiari preoccupazioni, speranze e obiettivi che ci muovono a un tale impegno (trovando, per altro, sempre nuovi compagni di strada: cattolici, altrimenti credenti o assolutamente “laici”), ma vedo che anche una persona colta come lei stenta a cogliere il punto. Un impegno che forse qualche politico soltanto a caccia di voti potrà pure strumentalizzare, ma che – insisto – non è partigiano, perché appartiene a tutti, e tutti interpella. Un impegno che sarebbe bizzarro considerare depotenziato per il fatto di essere naturalmente iscritto in quell’«umanesimo concreto» che da cattolici dovremmo sforzarci sempre di vivere e di realizzare per contagio positivo, cioè «per attraenza» come dice il Papa, e per strenua resistenza all’ingiustizia. Insomma, la coscienza («ben formata») detta un dovere consapevole, ma senza inutile cipiglio e perciò a viso aperto. Un dovere rispettoso del buon diritto, e perciò onesto e davvero libero.
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