sabato 14 febbraio 2009
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Quando, qualche anno fa, venne a Caivano (Na) per i funerali di Emanuele, un quindicenne ucciso dalla polizia durante una rapina, Roberto Saviano non era ancora lo scrittore famoso che conosciamo oggi. Lo incontrai alla fine della messa non pensando di dover fare un giorno, insieme al libro «Gomorra», il giro del mondo. Esagerò nel paragonarmi a «uno di quei preti sudamericani durante i moti di guerriglia in Salvador…» e poi – addirittura! – a Romero. Qualcosa nel libro non corrispondeva al vero, ma era roba di poco conto che gli serviva per creare il personaggio: non ho mai portato in chiesa scarpe e tuta ginniche, né furono quelle da lui riportate le parole dell’omelia. Anche il nome era sbagliato. Ma tant’è, quando si parla di preti e Chiesa, occorre che ogni comparsa rientri in un cliché predeterminato. Fui grato a Saviano per come mi aveva trattato nel suo libro, non per me, ma per l’influenza che avrebbe esercitato sui lettori. Lo stesso Saviano ha scritto in questi giorni sul quotidiano spagnolo El Pais: «Da italiano sento solo la necessità di sperare che il mio Paese chieda scusa a Beppino Englaro. Scusa perché si è dimostrato agli occhi del mondo un paese crudele, incapace di capire la sofferenza di un uomo e di una donna malata». Parla poi di «rabbia e odio nei suoi confronti. Ma la carità cristiana è quella che lo fa chiamare assassino? Dalla storia cristiana ho imparato a riconoscere il dolore altrui prima di ogni cosa… e invece qualcuno… paragona Beppino al 'Conte Ugolino' che per fame divora i propri figli. E osano dire queste porcherie in nome di un credo religioso. Ma non è così. Io conosco una Chiesa che è l’unica a operare nei territori più difficili, vicina alle situazioni più disperate… unica nel dare cibo e nell’essere presente verso chi da nessuno troverebbe ascolto. I padri comboniani e la comunità di Sant’Egidio, il cardinale Crescenzio Sepe e il cardinale Carlo Maria Martini…». La Chiesa che conosce Saviano, la conosciamo tutti, anche se l’elenco da lui stilato è veramente breve. Molto più ricca e articolata è la Chiesa che porta il Vangelo ai poveri, quelli nel corpo e quelli nello spirito, e nell’elenco subito aggiungerei le suore Misericordine di Lecco. Non per sterile polemica, ma per un bisogno di verità. Che gli italiani abbiano avuto, poi, rabbia e odio nei confronti del signor Englaro, non mi risulta. Certo non negli ambienti e nei fogli che io frequento. I tuoi connazionali, caro Roberto, hanno sofferto più di quanto tu possa credere. Certo puoi essere d’accordo o meno, ma le lacrime di tanta gente sono lacrime vere che niente hanno a che fare con l’odio di cui parli. Non mi sembra un buon servizio reso alla verità e alla complessità di questa storia che tutti ci accomuna, il tuo modo stavolta di informare. Mai sentito paragonare Beppino Englaro al Conte Ugolino. Se fosse vero sarebbe squallido, ma è successo? Se sì, sei sicuro che «questa porcheria» sia stata detta «in nome di un credo religioso»? Ma un tuo pensiero mi colpisce in modo particolare. Tu parli di una Chiesa «unica nel dare cibo e nell’essere presente verso chi da nessuno troverebbe ascolto…». Ecco, ci sei arrivato da solo. A volte basta solo un poco di buona volontà. La Chiesa a cui alludi e nella quale, penso, sei stato battezzato, ha sempre ritenuto suo dovere dare da mangiare e da bere a chi ne ha bisogno, a volte anche forzando la sua stessa volontà, ben sapendo che la volontà di un essere umano cambia cento volte nel corso di un giorno, figurarsi di un decennio. Ma se essa è «unica nell’essere presente verso chi da nessuno troverebbe ascolto», perché tanta meraviglia quando la trovi al suo posto, sentinella insonne, amorevole pastora, compagna di viaggio di ogni essere umano? Non credi che Eluana avesse tutti i requisiti necessari per rientrare a pieno titolo tra coloro che della Chiesa sono i prediletti? È pericoloso fare leva, in queste drammatiche situazioni, sul legittimo dolore dei genitori. Che la loro esistenza sia stata segnata da una sofferenza atroce non ci sono dubbi. Ma che la vita o la morte di Eluana fosse un fatto privato, su questo proprio non ci siamo. E poiché apprezzi la Chiesa quando alza la voce contro questa o quella guerra, o quando si schiera senza tentennamenti dalla parte dei più poveri, fossero anche immigrati clandestini, potresti fare uno sforzo per vederne la coerenza anche in questa triste storia. Ricorda che di Eluane ce ne sono centinaia in Italia e che dopo lo stato vegetativo, ne vengono altri altrettanto dolorosi. Non dimenticare che talora un genitore di un disabile – e non in stato vegetativo persistente – per amore, soffocato da un dolore immane, ha ucciso il figlio. Il discorso si allarga. Ci sarà da discutere nei mesi che verranno con serenità e umiltà. Noi ci fermiamo ricordando un pensiero di N. Berdjaev: «Il ruolo della menzogna nella vita umana è immenso… ma il ruolo maggiore spetta alla menzogna sociale affermata come dovere…». La verità, invece, ci farà liberi. Tutti.
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