martedì 12 gennaio 2016
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Nascere imperfetti, essere amati e diventare grandi Di Bryan, partorito la notte di Natale all’ospedale Maggiore di Parma, si sapeva tutto: il sesso, il nome, il giorno della nascita. I genitori, il fratello e i nonni lo attendevano con la consueta trepidazione e tutto era pronto, tutine azzurre, regali, cameretta. La gioia è facilmente immaginabile, non così l’incubo in cui si è tramutata nel giro di un istante: quando Bryan si è presentato al mondo non aveva le gambe. Una malformazione che nessuna ecografia aveva rilevato durante la gravidanza e proprio per questo ora piombava come una mannaia su chi era in sala parto. Primi tra tutti il medico e l’ostetrica che, anziché mostrare ai genitori quel piccolo trofeo di vita ancora bagnato e tremante, lo hanno subito coperto invitando il padre a uscire. La forza per comunicare quella scoperta l’hanno trovata soltanto dopo ore... Mamma e bambino sono tornati a casa il primo dell’anno, le loro condizioni di salute, infatti, «sono buone». Ma il dramma è psicologico e ruota tutto intorno a una domanda, proprio quella che ha ingenerato lo choc: come può essere che nessuna ecografia abbia mai rivelato l’anomalia? Monica, 34 anni, durante la gestazione si è sottoposta a tutti gli esami di routine, i primi sette mesi affidandosi al suo medico di fiducia, poi alle strutture pubbliche, e ogni volta l’hanno rassicurata: nessun problema. Una delle ecografie dava addirittura le dimensioni dei femori, ma nessuno si era accorto che dal ginocchio in giù non c’era nulla. Vogliono capire, ora, Monica ed Hector, ne hanno tutto il diritto, pretendono di sapere di chi è la colpa: non quella imponderabile dell’anomalia del loro piccolo, in questi giorni allattato e accudito – ne siamo certi – con un surplus di tenerezza, ma di quell’esame sbagliato: l’ecografia morfologica fatta al quinto mese non poteva non 'vedere' che a Bryan mancava qualcosa, due gambe mai nate non sono un cromosoma. Non sappiamo che cosa avrebbero fatto Monica ed Hector se avessero saputo. Probabilmente, come tanti altri genitori, avrebbero fatto la cosa giusta. Avrebbero concluso che la vita vale la pena viverla anche se le gambe sono protesi e avrebbero riconosciuto al figlio il diritto inalienabile di esistere. Ma avrebbero anche avuto il tempo di accusare il colpo: è noto, infatti, che se la diagnosi è prenatale lo choc è molto più gestibile di quando la malattia si scopre solo al momento della nascita. È allora che i genitori possono soccombere e a volte la loro unione si spezza. Lo sanno bene le tante associazioni dedicate alle 'malattie rare', che danno soccorso in questa prima fase, quella dello spaesamento, del «perché a me?» e «che cosa accadrà adesso?». L’Asl e l’azienda ospedaliera promettono vicinanza alla famiglia, che intanto ha avviato una causa civile, «chi ha sbagliato paghi, vogliamo chiarezza». Le indagini sono in corso e una risposta non tarderà a venire.  Ma intanto, se potessimo, vorremmo dire a Monica e a Hector che il loro bambino correrà lo stesso. La vita dimostra che si può essere felici senza gambe o braccia, e disperati con tutti i pezzi al loro posto. Le persone più realizzate che ci è capitato di incontrare spesso sono quelle apparentemente sfortunate, carenti, incomplete, imperfette. Non c’è differenza tra Bryan, venuto al mondo già così, e chi lo è diventato, come Alex Zanardi o Giusy Versace, campioni nell’esistenza prima ancora che nello sport, prove inconfutabili che la sede della gioia non sono due arti. Ma ancora di più il pensiero va a Simona Atzori, 'la ballerina senza braccia' che sui palcoscenici del mondo danza il suo amore incontenibile per la vita. «Non mi mancano le mie braccia, perché non le ho mai avute – ci ha spiegato un giorno –. Esattamente come a te non mancano quattro gambe perché ne hai sempre avute due, e se gli altri ne avessero quattro non ti importerebbe... I limiti spesso sono negli occhi di chi ci guarda». Quando nacque, nel 1974, non esistevano ecografie, «per i miei genitori fui una sorpresa, i miei arti erano rimasti in cielo. La vita li metteva di fronte a una prova forte, ma loro si presero per mano, firmarono le carte e mi portarono a casa. In quel momento sono diventata la loro figlia, non per un diritto di sangue, ma perché mi avevano scelta». La loro avventura cominciava tra dubbi e paure, «ma avevo una famiglia pronta a dare amore e mi è bastato. Non solo: è stato il punto di partenza migliore che potessi avere». Simona oggi tiene incontri motivazionali in aziende, banche e scuole. Insegna ad affrontare la vita a chi ha braccia e gambe in regola.
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