sabato 21 dicembre 2013
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Si chiude con un gran botto l’annus mirabilis di Putin che con un sorprendente decreto di grazia ha restituito la libertà a Mikhail Khodorkovskij, l’ex oligarca in carcere da dieci anni, condannato per frode fiscale ma in realtà punito severamente per aver osato sfidare il potere di "zar Vladimir" e divenuto il prigioniero politico simbolo della Russia post-sovietica. L’inatteso gesto di clemenza del presidente russo («i ladri devono stare in galera», aveva sempre ribattuto a coloro che in più occasioni avevano chiesto la liberazione dell’ex magnate che languiva in una cella assieme ai peggiori criminali e ai malati di Tbc, nella gelida e lontana Carelia) fa seguito all’amnistia che ha aperto le porte della prigione alle "Pussy Riot", le tre ragazze della rock band che avevano improvvisato una canzone blasfema all’interno della cattedrale di Mosca, e ai trenta attivisti di Greenpeace, compreso un nostro connazionale. È un inedito Putin dal volto umano quel che ci appare a fine 2013, un anno che ha visto le stelle del Cremlino brillare intensamente nel cielo della politica internazionale. Spenta la fiammata delle proteste di piazza che avevano caratterizzato i mesi precedenti, garantita con tutti i mezzi la stabilità del potere interno, la Russia è tornata protagonista sulla scena mondiale. Putin "pacifista" è riuscito ad impedire l’intervento militare americano in Siria, costringendo l’alleato Assad a consegnare le armi chimiche, ed ha avuto un ruolo decisivo nell’accordo siglato a Ginevra sul programma nucleare iraniano. È stato l’unico leader politico ad alzare la voce in difesa dei cristiani perseguitati in Medio Oriente, dichiarandosi sensibile ai pressanti appelli di Papa Francesco, che ha incontrato in Vaticano. E si atteggia a paladino dei valori tradizionali, deciso a farli rispettare in patria. Putin ha introdotto misure legislative per impedire la propaganda dell’aborto e dell’omosessualità, ha vietato l’adozione di bambini russi in quei Paesi che riconoscono il matrimonio gay, ha istituito la Giornata della Famiglia e sostiene una proposta della Duma per inserire nella Costituzione il cristianesimo come «fondamento dell’identità nazionale russa». Nei confronti dell’Europa si mostra conciliante nei toni, ma duro nella sostanza. Non ha fretta di schierare missili atomici a ridosso dei confini della Ue in risposta allo scudo di difesa progettato dagli americani per il Vecchio Continente. Ma quando sono in gioco corposi interessi geo-strategici non esita a comprarsi l’Ucraina, mettendo sul piatto 15 miliardi di dollari in aiuti e riducendo il prezzo del gas al "Paese fratello", sempre più lontano dal trattato d’associazione con l’Unione Europea. L’uomo del Cremlino, che secondo molti osservatori è diventato il leader più potente del Pianeta, ha le idee chiare che persegue con determinazione e cinismo. E così, al culmine della sua ostentata potenza dall’inconfondibile stile imperial-sovietico, rimette in libertà l’avversario numero uno dopo averlo umiliato e privato di ogni velleità di ribellione. Khodorkovskij ha preso la via obbligata dell’esilio, a conferma che oggi i cittadini russi sono liberi di viaggiare, lavorare, fare soldi, perfino di criticare il potere (certo, senza esagerare), ma non di opporvisi in modo organizzato e legittimo. È la democrazia autoritaria di Putin. E forse a qualcuno in Occidente non dispiacerà un simile Stato che difende i valori tradizionali con il braccio della legge. Ma non si combatte l’amoralità dilagante (anche in Russia) con l’ipocrisia di una moralità pubblica imposta strumentalmente ad una società dove i diritti umani vengono spesso calpestati. Come ci ha insegnato Solov’ëv nel famoso Racconto dell’Anticristo la fede muore quando affida la sua sopravvivenza al potere costituito. Ed anche la libertà, quando è concessa dall’alto come a Khodorkovskij, ha un sapore amaro.
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