martedì 21 gennaio 2014
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Gentile direttore,mi permetto di tornare sulla vicenda che ha riguardato la sanzione amministrativa inflitta al titolare del bar "Il Palco" di Venezia-Mestre. Non si può che condividere lo sconcerto di chi, in un Paese gravato da tanti problemi, vede punire un esercente per il solo fatto di essersi reso responsabile di un mancato adempimento puramente formale imposto sostanzialmente da una legge vecchia di 80 anni. E questo è un sentimento che esprime uno, come me, che vede scorrere in Ufficio, nel giro di un anno, oltre diecimila ricorsi, un buon numero dei quali riferiti a comportamenti sanzionati da norme anacronistiche o eccessivamente formali o di dubbia utilità pratica. Tuttavia si tratta di norme giuridiche e gli agenti che vi si imbattono non possono girarsi dall’altra parte e chi deve decidere i ricorsi in base ad esse non può sostituirsi al Legislatore e dichiararle inefficaci. Molti commentatori sono intervenuti calcando la mano sull’ottusità o addirittura la scemenza del burocrate di turno o sull’eccessivo zelo dei vigili. Ma invece di prendersela con chi è tenuto, comunque, a far rispettare le norme, anche quelle idiote o ritenute tali, non sarebbe più semplice e produttivo fare una cernita di esse e invocarne l’eliminazione? Meglio ancora, si potrebbe proporre di affidare – per legge e non a chiacchiere – maggiori poteri discrezionali agli organi amministrativi competenti, in maniera che essi siano abilitati a valutare circostanze soggettive e oggettive e avere la facoltà di escludere l’applicabilità di certe norme, quando esse cozzano con la ragione ed il buon senso. Cosa, questa, che invece oggi non si può assolutamente fare. Mi auguro quindi che la vicenda possa servire a stimolare un impegno chiaro e coraggioso in tale direzione e far sì che la denuncia, ampiamente giustificata, non rimanga, di fatto, senza seguito. Grato per l’attenzione, la saluto cordialmente.Domenico Cuttaia, Prefetto di VeneziaGrazie a lei, gentile signor prefetto, per la puntuale attenzione con cui ricambia la nostra al caso della "multona" inflitta a Sergio Ceolin per aver fatto giocare gratis a biliardino (o calciobalilla, che dir si voglia) nel suo locale di Mestre, che è serenamente libero da macchinette e altri strumenti dell’azzardo legale e che il 16 gennaio Nello Scavo ha descritto così: «Un po’ ristorante, un po’ caffé letterario e un po’ bar». Ne abbiamo scritto con convinzione e grande rilievo perché in un Paese dove ognuno di noi – nella noncuranza e per l’indifferenza di troppi – vede disapplicare norme sensate e di essenziale civiltà, saltano fuori regole stupide che vengono invece applicate con inesorabile e incomprensibile severità. Scrivo «stupide» e lei, signor prefetto, nella sua acuta riflessione dice «idiote o ritenute tali». Siamo lì. Capisco e condivido, perciò, il suo appello a chi è tenuto a fare le leggi perché bonifichi il vecchio e nuovo "sottobosco" normativo che intralcia e fa inciampare cittadini e guardiani delle regole. E comprendo anche la preoccupazione che lei ha di veder riconosciuti, con tutti i crismi, a chi veste i suoi panni dei ben calibrati margini di «discrezionalità» che più facilmente consentano di evitare certe assurdità. Ma ciò non mi impedisce di pensare che se in questa vicenda si fosse esercitata la famosa (e mai abbastanza invocata per chi riveste ruoli e poteri pubblici) "diligenza del buon padre di famiglia" sarebbe stata evitata un’ingiusta stangata sulla testa di un cittadino imprenditore che, in modo del tutto verificabile, ha fatto e fa scelte etiche e civilmente generose. Mi auguro, dunque, che il caso de "Il Palco" di Mestre spinga a cambiare anche qualche modo di (s)ragionare. E, con lei, spero che a tutti i livelli non rimanga senza positivo seguito. Contraccambio il cordiale saluto.
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