giovedì 25 giugno 2015
Il Polo Nord racchiude nei suoi fondali petrolio, gas, minerali preziosi. Russia, Norvegia e Usa, escalation economico-militare
COMMENTA E CONDIVIDI
Crescono le temperature. Nell’Oceano Artico più velocemente che altrove. E dalla fusione dei ghiacci si stanno sprigionando tensioni geopolitiche recondite che riportano la clessidra della storia all’epoca della Guerra fredda. Nei 92 chilometri dello Stretto di Bering correrà una neo-cortina di ferro iper-militarizzata? Gli indizi di un inverno polare fra le potenze d’antan sembrano riemergere prepotentemente, tracciando un continuum di discordia fra le marche meridionali del mar Nero, l’Europa centrale e il Grande Nord. Da quando l’Us Geological Survey ha diramato un rapporto sul potenziale dirompente delle risorse artiche sono passati appena sette anni. Ma sembra trascorso un secolo, tanto lo scenario strategico è mutato. Si sono scatenate le bramosie dei più, perché i fondali artici celano un forziere da trilioni di dollari, fatto di petrolio, gas, minerali preziosi e terre rare. Il riscaldamento dei mari sta gonfiando le riserve di pesca e l’arretramento della banchisa polare rappresenta già un affare per la navigazione transcontinentale. Riduce costi e percorsi, tanto a Nord-Ovest, lungo il Canada, quanto a Nord-Est, lungo la Russia.   La Northern Sea Route è sempre più trafficata. L’US Office of Naval Intelligence vi ha censito 46 navi nel 2012 e 71 nel 2013. Ne stima 450 intorno al 2025. Molte saranno cinesi e russe. Pechino, da osservatore nel Consiglio artico, tesse ottimi rapporti con l’Islanda e pensa di farne un hub per il trasferimento delle merci dalle sue grandi portacontainer ai cargo commerciali diretti in Europa e in Nordamerica. Fra Shanghai e Amburgo la rotta artica sarà più economica di quella che risale affannosamente gli stretti di Malacca e Suez: 6.400 km in meno, senza l’incubo della pirateria. Diversamente dai cinesi, Mosca avoca a sé metà degli spazi artici, riapre basi e installa radar, progetta minisommergibili per infiltrare forze speciali, e spedisce a 600 km dall’Alaska una flotta di droni. Fomenta un clima di guerra anche al Polo. Una base aerea è rispuntata nella regione della Nuova Siberia. Altre due puntelleranno l’area.   Mikhail Mizintsev è un fedelissimo di Vladimir Putin. Ha fatto una carriera rapidissima, che l’ha proiettato al vertice del Centro nazionale di controllo della difesa. Non usa mezzi termini nel raccontare le ambizioni russe: «Costruiremo nell’Artico 13 aerodromi, 10 stazioni radaristiche e siti per la guida». In poche parole, dal prossimo ottobre vedremo puntate verso il cielo polare batterie antiaeree e antimissilistiche, a medio e lungo raggio, soprattutto nell’arcipelago Francesco Giuseppe. Sistemi di spionaggio elettronico sono in itinere nell’isola di Wrangel. Due brigate da 6mila uomini si dispiegheranno fra Murmansk e il distretto di Jamalo-Nenec, dove sono previsti lanci missilistici. La base di Barneo diventerà un covo di paracadutisti. E molti russi stanno aggiornando la formazione militare. L’accademia di Blagovešensk ha avviato un corso per ufficiali istruttori parà, destinati alla scuola di addestramento artico. Ma di ambizioni nordiche parlano anche le forze speciali e la marina. C’è un gran fermento fra le truppe d’élite dell’armata rossa, perché il Cremlino vuole una nuova brigata Spetsnaz nel poligono di Pechenga: 3mila uomini, adusi alla guerra in scenari polari e schierati a soli 10 chilometri dalla frontiera norvegese. A loro andrà il supporto dei migliori cingolati da ghiaccio e delle fortissime unità VDV, i paracadutisti russi, primi a ghermire la Crimea e a dissimularsi nel Donbass. Sarà un mix letale di fanteria leggera e colpi di mano. E dire che fino al 2013 vigeva un’entente cordiale russonorvegese, due Paesi frontalieri per 200 km. C’erano esercitazioni comuni nel mar di Barents, approdi nei rispettivi porti, e perfino cessioni di basi dismesse in Norvegia. Poi, con la Crimea e l’Ucraina, tutto è cambiato. Oslo ha interrotto la cooperazione, serrando i ranghi con i vicini scandinavi e la Nato. Ha dotato il comando per le forze speciali di due unità pronte alle operazioni commando e aerotrasportate, e puntato molte carte sui droni subacquei. A marzo, ha svolto nel nord-est le più imponenti esercitazioni militari dell’ultimo mezzo secolo. «Se mettevi in fila i veicoli militari, ne usciva una colonna lunga 6 km», ci racconta il tenente-colonnello Alexander Jankov, portavoce dell’Esercito norvegese.   I russi hanno risposto per le rime, manovrando nell’Artico con 38mila soldati, quaranta navi, 15 sommergibili e 110 aerei. E non è finita, perché c’è un continua esibizione muscolare, molto insidiosa. Al largo del mar di Barents, la Norvegia ha appena ultimato una mega esercitazione aerea: l’Arctic Challenge Exercise, con più di 100 aerei alleati. Raid di addestramento e decolli a tutto gas da Svezia, Finlandia e Bodo (Norvegia). Immediata la reazione di Mosca, affidata a Sergey Shoygu, ministro della Difesa: «Una presenza militare permanente nell’Artico e la protezione dei nostri interessi manu militari sono previsti dalla strategia russa di sicurezza nazionale». Parole e fatti. Nell’ultimo scorcio del 2014, sono affluite dal centro verso le basi artiche migliaia di tonnellate di materiali logistici. In mare è sorto un comando strategico Settentrionale: imperniato sulla flotta del Nord-Est, integra gran parte dei sottomarini nucleari lanciamissili, specializzati nelle immersioni sub-glaciali, per eludere satelliti e altri occhi elettronici. Lo spionaggio satellitare è ininterrotto: ogni 30 minuti un satellite americano sorvola gli spazi artici. Li fotografa e trasmette le immagini alla base di Thule, in Groenlandia, ramo terrestre di una panoplia di satelliti. Non paghi, gli americani hanno sviluppato una variante speciale del superdrone «Global Hawk»: il Polar Hawk, dotato di sensori e materiali ad hoc, mentre il Seal Team 2 dell’Us Navy sta affinando le tecniche speciali di azione nell’Artico. Costante è l’addestramento in Alaska e in Norvegia. Molteplici gli scambi con i Ranger canadesi.   La stazione di ascolto elettronico delle isole Ellesmere è più vicina a Mosca che a Ottawa. Sorniona, intercetta le comunicazioni e i segnali militari russi nell’Artico. Da buon alleato, il Canada trasmette molti dei dati agli analisti della National Security Agency statunitense. Il mondo nordico delle forze speciali e delle spie si prepara al peggio. Anche in cielo, dove crescono di anno in anno i voli di bombardieri strategici, caccia, ricognitori antisommergibili e droni. Russi e non. Mosca spia e manovra. Sta guidando un gioco pericoloso di mosse e contromosse. Perché Norvegia, Danimarca, Canada e Stati Uniti non ci stanno. E nemmeno la Nato, che rinnova annualmente l’esercitazione multilaterale Cold Response, simulando uno scontro per il Grande Nord. Nel mondo si respira «un clima di guerra», ammoniva tristemente il Papa da Sarajevo. Lo ascolteranno?
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: