martedì 30 agosto 2022
Rebibbia e non solo: appello alla ministra Cartabia e, un po’, anche all’assessora romana Funari
Il carcere di Rebibbia, sezione femminile, in un'immagine d'archivio

Il carcere di Rebibbia, sezione femminile, in un'immagine d'archivio - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Gentile ministra Cartabia, vorremmo ringraziarla dell’enorme impegno che lei ha dimostrato nello svolgere l’altissimo incarico che la vita e che il nostro Paese le hanno proposto. Ci siamo resi conto che le sue ferme convinzioni cristiane hanno segnato anche il suo attuale impegno al Ministero della Giustizia ed è proprio per questo che le scriviamo, affidando le nostre parole al direttore di 'Avvenire', giornale attentissimo come noi al 'pianeta carceri', certi che il nostro appello non cadrà nel vuoto.

Mai come quest’anno si sono verificati una serie di suicidi negli Istituti di pena: siamo arrivati a 57. Un numero spaventoso! È ancor più terribile rendersi conto che si tratta di giovanissimi uomini e giovanissime donne, che hanno preso questa decisione perché avevano perso ogni speranza. Lei, come noi, sa bene che la maggior parte dei reati che prevedono il carcere riguardano spaccio, furto e non omicidi o reati gravi. Morire per questo è ancora più folle.

Inoltre lei sa bene che il 14 giugno è stata varata alla Camera la riforma del Codice Penale sui bambini figli di detenute, dando via libera alla proposta di legge di Paolo Siani, che riconosceva e normava il divieto assoluto della custodia cautelare in carcere, in tutte le realtà della maternità, anche per le donne gravide.

Sono ancora 27 i bambini ristretti nelle carceri italiane, 27 bambini che invece potrebbero vivere la loro primissima infanzia in comunità, insieme alle loro mamme. Sono più innocenti degli innocenti ed è tra l’altro una follia amministrativa tenere attive delle realtà di contenzione che potrebbero essere utilizzate altrimenti per il Bene comune.

Dove vogliamo arrivare? La nostra proposta, cara ministra Cartabia, è quella di utilizzare al meglio il bellissimo asilo nido della sezione femminile del più grande carcere della capitale, con un magnifico giardino, con spazi e giochi, togliendo le sbarre, e mettendolo a disposizione anche del quartiere di Rebibbia.

Il 15 agosto siamo andati, insieme a Rita Bernardini, ad alcuni militanti radicali e a tanti volontari, a visitare la sezione femminile di Rebibbia e con l’occasione abbiamo anche visitato l’asilo, l’asilo nido e il settore dove le mamme vivono: ebbene, c’era una sola bambina di 18 mesi. Non ha alcun senso tenere una struttura che potrebbe essere utile per la collettività in quelle condizioni.

Questa nostra lettera è indirizzata a lei, ma vorremo che fosse letta anche da Barbara Funari, assessora alle Politiche Sociali e alla Salute del Comune di Roma, a sua volta sensibilissima a queste tematiche, per far sì che questo spazio venga restituito alla collettività. Crediamo che il luogo sia assolutamente disponibile almeno per 50 bambini e questo vorrebbe dire fare qualcosa di straordinariamente buono per il quartiere di Rebibbia, dando nel contempo un segnale importante da un punto di vista sociale.

Ultima ma non da ultima, la richiesta che le facciamo sulla campagna che è stata lanciata da don Davide Riboldi (da non confondere con don Gino, anche lui straordinario cappellano nelle carceri), che ha raccontato come all’estero la possibilità dei detenuti di telefonare sia molto maggiore che da noi, e questo è qualcosa di importantissimo perché «una telefonata ti allunga la vita», come diceva una celebre pubblicità.

Ne parliamo in Angelipress dove raccontiamo come soprattutto i detenuti non italiani non possono telefonare perché si richiede dall’altra parte un contratto di acquisto di un apparecchio cellulare o di schede, e in posti come il Senegal o la Guinea è praticamente impossibile che questo accada; dobbiamo allora trovare una soluzione anche in questo senso, mentre per coloro che hanno questa possibilità sarebbe importante ampliare da dieci minuti a mezz’ora alla settimana il tempo per le telefonate.

Cara ministra Cartabia, questo i direttori delle carceri lo possono fare. Basterebbe una circolare che li inviti a farlo e li conforti nelle intenzioni positive, facendo capire loro che sono condivise ai massimi livelli. La ringraziamo per averci ascoltate e ascoltati e le confermiamo, per averlo sperimentato di nuovo, che la sesta opera di misericordia corporale, «visitare i carcerati », è forse la più importante.

Paola Severini Melograni è direttrice Angelipress.com e tutta la Redazione

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI