Approcci ideologici
mercoledì 2 novembre 2022

Occorre evitare un «approccio ideologico sulla pandemia», ha spiegato la presidente del Consiglio illustrando il primo decreto del suo governo che – oltre ai provvedimenti in materia di giustizia – ha modificato alcune norme sul contrasto al Covid. In particolare, prevedendo il rientro anticipato nei reparti dei medici e degli operatori sanitari che non hanno ottemperato all’obbligo vaccinale stabilito un anno e mezzo fa per queste particolari categorie di lavoratori. E in effetti, soprattutto su una questione tanto importante quanto delicata come la tutela della salute pubblica, è fondamentale evitare approcci che siano dettati più da motivazioni politiche e di rappresentanza di specifici gruppi sociali, che non dalla difesa dell’interesse generale e dalla ricerca del bene comune. Proprio per questo, però, è lecito interrogarsi se non siano proprio le ultime decisioni a far trasparire un approccio ideologico.
La cancellazione anticipata e immediata della sospensione di dottori, infermieri e operatori sanitari che hanno scelto di non vaccinarsi, infatti, comporta diversi rischi: oltre a quelli diretti riguardo alla salute loro e dei pazienti con i quali verranno a contatto, anche quello indiretto di lanciare messaggi sbagliati e pericolosi sull’efficacia dei vaccini stessi, sull’affidabilità del nostro sistema sanitario e sulla fiducia da nutrire verso le raccomandazioni che ci vengono dal mondo medico e scientifico.

«Quello che contesto della gestione precedente (della pandemia) è che ci sono stati un’infinità di provvedimenti presi dai governi, che non avevano alla base alcuna evidenza scientifica», ha detto ancora Giorgia Meloni. Sembrando così sposare quelle teorie secondo cui i vaccini non avrebbero mai protetto dall’infezione da Sars-CoV-2, riconoscendone a denti stretti solo un’efficacia limitata nel prevenire l’insorgenza della malattia grave. Ragion per cui non sarebbe giustificato alcun obbligo vaccinale, visto che il vaccinato e il non vaccinato avrebbero avuto la stessa probabilità di contrarre l’infezione e di trasmetterla. In realtà, però, non è affatto così. Anzitutto perché diversi studi scientifici hanno dimostrato che i nonvaccinati avevano da 10 a 4 volte maggiore possibilità di ammalarsi (e quindi di trasmettere l’infezione) rispetto ai vaccinati, almeno fintanto che il virus circolava nella sua “forma” originaria e nelle prime “versioni” successive. Solo dopo il dilagare della variante Omicron, meno letale ma assai più infettiva, questa differenza si è notevolmente ridotta fino a qualche frazione di punto.
Le decisioni politiche sull’obbligo vaccinale però furono assunte sulla base di quelle che allora erano le evidenze scientifiche, non per motivi ideologici, ma per difendere la salute anzitutto del personale sanitario – di gran lunga il più esposto alle infezioni – e delle persone, pazienti con le più diverse patologie, che venivano in contatto con loro. I vaccini anti-Covid – dicono le ultime ricerche – hanno salvato almeno 20 milioni di vite nel mondo, probabilmente decine di migliaia in Italia, e restano in generale l’arma più efficace di contrasto a molte malattie. Fatte salve la libertà di pensiero e quella di ricerca (secondo precise regole) che un medico non creda alla validità dei vaccini in generale, o di questi in particolare, contro tutti i protocolli e le evidenze finora emerse risulta stupefacente e anche piuttosto grave. Così come grave appare che una categoria così importante di operatori del sistema pubblico non intenda ottemperare a una precisa disposizione di legge.
Tutto questo, per di più, fa già oggi emergere un primo evidente paradosso: a meno di correzioni del testo del decreto, infatti, sino a fine anno negli ospedali e nelle Rsa potranno lavorare tranquillamente operatori sanitari non vaccinati, a stretto contatto quotidiano con anziani e persone malate, mentre a parenti e visitatori dei ricoverati verrà ancora richiesto il green pass con certificata la vaccinazione, o un tampone negativo, per poter entrare.

Soprattutto, paradossale appare questa sorta di “amnistia” generalizzata, questa specie di “condono” degli obblighi sanitari e di legge, proprio mentre il nuovo governo inasprisce le norme sui raduni giovanili – forse anche oltre i rave party – giustificando la scelta con la necessaria salvaguardia della salute dei ragazzi stessi e con il doveroso rispetto delle regole dello Stato. Princìpi giusti, persino sacrosanti, ma applicati con modalità e intensità differenti a seconda di chi siano gli interessati e di quali gruppi sociali si intenda anzitutto rappresentare. Non sarà, proprio questo, un rischioso criterio ideologico?

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