Anche nella Carta ci sia sviluppo sostenibile
martedì 25 maggio 2021

Caro direttore, la nostra società sprofonda ormai da moltissimi decenni in una deriva individualista, mossa da una grande suggestione: l’idea che la tecnica possa liberare l’uomo dalla schiavitù del lavoro, della malattia, dall’ingiustizia e ancora più profondamente che possa offrire a ciascuno la propria realizzazione individuale. Questo fattore potente di 'emancipazione' individuale e disgregazione sociale ha indubbiamente trovato terreno fertile proprio nelle economie liberali, che pure considero la forma più avanzata di democrazia e di progresso, ma ha saputo varcare i confini e le cortine di ferro penetrando con differente profondità le culture di tutto il mondo.

Come già affermava Alexis de Tocqueville quasi due secoli fa: «Senza idee comuni non c’è azione comune, e senza azione comune esistono sì gli uomini, ma non un corpo sociale ». E senza un corpo sociale, la politica è disarmata. Nella felice parentesi di opportunità offerta al nostro Paese dal governo Draghi, la larghissima maggioranza che lo sostiene si è data il compito di riformare la Costituzione, dedicandosi addirittura all’art. 9, uno dei primi 12 dedicati ai princìpi fondamentali, considerati da sempre intoccabili, caposaldo del nostro ordinamento. Viene dunque naturale accostare questa opportunità alla crisi epocale della nostra società, aspettarsi che questo intervento si giustifichi unicamente, quasi si consacri, a questo scopo. Da molti anni, ormai due decenni, ritengo che il concetto unificante, la ragione di impegno personale e civile, che manca alla nostra Costituzione, come mancava a quelle di tutto il mondo, sia il principio di sviluppo sostenibile, la correzione necessaria della deriva denunciata in apertura. Non potevano i padri costituenti conoscere questo concetto emerso nella sua chiarezza negli anni 70 del Novecento proprio a Roma e definitivamente entrato nelle priorità delle Nazioni Unite nel 1987 con la famosa definizione della Commissione Brundtland. Se è vero che la tutela dell’ambiente può e deve trovare anch’essa una miglior definizione costituzionale, sancita anche dai numerosi pronunciamenti della Consulta, lo sviluppo sostenibile rappresenta oggi l’unica bussola condivisa che possa guidare la rappresentanza parlamentare politica italiana comunque uscirà dalle prossime urne.

Per questo motivo la dimenticanza dello sviluppo sostenibile nei recenti lavori della Commissione Affari Costituzionali del Senato non può passare inosservata e nemmeno il clamoroso tentativo di annegare questo concetto in generici riferimenti alle future generazioni riferite alla protezione dell’ambiente e degli animali. Sto cercando di ispirare la mia azione politica al concittadino e padre costituente Ezio Vanoni e sono convinto che alla luce delle 'attuali' (ormai datate!) conquiste delle scienze ambientali, economiche e sociali, quella classe dirigente illuminata, calata nella odierna temperie, affermerebbe sopra ogni principio che «la Repubblica promuove le condizioni per lo sviluppo sostenibile».

Anche gli animi maggiormente influenzati da un egoismo edonista, qualora messi di fronte a questa possibilità, non potranno non convenire che questo principio possa e debba costituire il cardine di qualsiasi tentativo di costruire idee e obiettivi comuni, motore dell’azione politica italiana e non solo. In tal modo si vincolerebbe il Parlamento a produrre leggi che stiano dentro la grande e sfidante prospettiva dello sviluppo pensato nella sua integralità, con i bisogni della persona, di oggi come di domani, posti al centro in una necessaria armonia con l’ambiente. In questo modo la politica potrebbe cimentarsi in una competizione su come declinare un principio unificante, comprensibile e universale e quindi legittimante dell’azione democratica stessa del Parlamento. Oggi l’Italia, più o meno consapevolmente, ha in sé questa istanza sociale, questo germe di idea comune su cui basare l’ingresso in una nuova epoca. Per non dire del fatto che la finanza e ampi settori dell’economia si stanno riconfigurando proprio su questa prospettiva. Non si giustificherebbe in alcun modo il mancato inserimento in Costituzione dello sviluppo sostenibile. E nemmeno un suo blando riferimento di rango inferiore. La politica sollevi la testa e sappia cogliere una opportunità per la quale siamo già in ritardo.

Deputato di Italia Viva

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