Alla radice delle chiusure
venerdì 24 marzo 2023

È in corso l’atteso Consiglio europeo a Bruxelles, a cui Giorgia Meloni ha richiesto per l’ennesima volta adesione alla sua linea dura e al tempo stesso “ridistributiva” sull’annoso e dolente dossier viaggi della speranza (e, purtroppo, della morte), approdi mediterranei, richiedenti asilo e rifugiati. In realtà il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha annunciato soltanto un «breve aggiornamento» sulla questione. Già questa differenza di enfasi rivela la scarsa sintonia tra l’agenda italiana e le priorità europee che, come s’è subito visto ieri, sono soprattutto concentrate sulla guerra d’Ucraina e altri nodi economico-finanziari.

Regna, insomma, l’incertezza sugli effettivi avanzamenti decisionali, al di là del retorico riconoscimento dell’importanza del dossier migrazioni.

Le richieste italiane sono fondamentalmente un manifesto sovranista, quello annunciato alla Camera dalla premier prima della partenza: «Prevenire le partenze irregolari, arginare il traffico di esseri umani, dedicare adeguate risorse finanziarie, collaborare con i principali Paesi di origine e transito dei migranti, aumentare i rimpatri, incentivare la migrazione legale e i corridoi umanitari». A parte l’ultimo punto, su cui il governo italiano in realtà ha soltanto previsto un (allo stato) modesto aumento degli ingressi per lavoro, la linea è quella della chiusura, dei respingimenti, della delega del lavoro sporco di contrasto delle partenze ai Paesi di transito, in modo particolare a quelli rivieraschi.

Ancora una volta, Meloni ha poi rilanciato la leggenda dell’Italia «campo profughi d’Europa»: un’affermazione contraddetta dai dati reali, certificati da Eurostat, secondo cui nel 2022 la Germania ha ricevuto 218.000 richieste d’asilo, la Francia 137.000, la Spagna 116.000, l’Italia 77.000. I richiedenti asilo non arrivano soltanto dal mare. Sbagliato ed enfatico anche parlare di un’emergenza senza precedenti. Nel 2015 e 2016 nella Ue le richieste di asilo hanno superato il milione, a causa soprattutto della guerra in Siria e della fuga di chi poteva da quel martoriato Paese. E allora l’accoglienza fu garantita soprattutto dai tedeschi.

Quanto alla riforma delle Convenzioni di Dublino, l’ostacolo principale è rappresentato dai governi del gruppo di Visegrad, che l’attuale governo italiano e il suo principale partito, Fratelli d’Italia, considerano come i loro migliori alleati. Si tratta di una contraddizione insanabile. È soprattutto a causa loro che la Ue non è riuscita finora ad andare oltre il concetto di «solidarietà volontaria» nell’accoglienza condivisa dei profughi.

Se qualcosa si muove nel senso desiderato dal governo italiano, è sul fronte Nato. Qui il segretario dell’Alleanza, Stoltenberg, alla vigilia del vertice di Bruxelles ha raccolto l’assist del ministro Crosetto, dicendosi disponibile a inviare navi Nato nel Mediterraneo per presidiare le acque, come già nell’Egeo. La Nato rafforza così il suo ruolo in Europa. Lo scenario di guerra disegnato dal segretario dell’Alleanza atlantica, mettendo insieme la presenza crescente del gruppo Wagner in Africa, l’instabilità della Tunisia, l’invasione dell’Ucraina, è eloquente e insieme inquietante: barche cariche di profughi disarmati, tra cui donne e bambini, in fuga da paesi come Siria e Afghanistan, diventano minacce esiziali per l’Europa, da contrastare ricorrendo alle navi da guerra. Viene da commentare: se non lasciasse presagire esiti tragici, sarebbe un discorso ridicolo.

A questa umanità dolente viene negata non solo la libertà di restare nella propria terra, ma anche la libertà di partire e di raggiungere un luogo sicuro in cui ripartire, offrendo un futuro ai propri figli. Dire che si ammettono solo ingressi legali, quando ne sono esclusi nonostante le dichiarazioni formali, proprio i Paesi in guerra o sotto regimi oppressivi, è un malcelato travestimento di una politica delle porte chiuse verso chi avrebbe bisogno di essere accolto. E intanto dei più volte annunciati nuovi e stabili corridoi umanitari non si vede traccia. Si continua con il benedetto, ma intermittente e limitato, impegno di cui d’intesa con lo Stato si fanno meritoriamente (ed ecumenicamente) carico realtà cristiane, cattoliche ed evangeliche, del nostro Paese.

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