martedì 11 maggio 2021
Oltralpe una trasformazione culturale guidata dalle nuove generazioni
Nel Paese che esaltava il «pié veloce» e difendeva la libertà di sfrecciare in strada e a Parigi oggi avanza una sensibilità «slow», che chiede un passo lento e una mobilità più dolce L’idea del «Giro del mondo in 80 giorni» di Jules Verne quasi un ideale al tramonto. La rivoluzione è anche filosofica

Nel Paese che esaltava il «pié veloce» e difendeva la libertà di sfrecciare in strada e a Parigi oggi avanza una sensibilità «slow», che chiede un passo lento e una mobilità più dolce L’idea del «Giro del mondo in 80 giorni» di Jules Verne quasi un ideale al tramonto. La rivoluzione è anche filosofica - Archivio

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Ricordate Asterix, l’eroe fumettistico transalpino per eccellenza, disegnato dal geniale e rimpianto Albert Uderzo (figlio d’italiani)? Ebbene, le funamboliche accelerazioni del minuto guerriero, con i piedi spesso trasformati in spruzzo cinetico, trottano da decenni nella mente dei francesi. In effetti, a pensarci bene, si tratta pure d’una riuscitissima allegoria della 'Gallia' del Dopoguerra, decisa a dire lo stesso la sua di fronte ai colossi geopolitici veri e propri del tempo con aspirazioni imperiali. Per questo, dunque, obbligata a giocar di velocità e d’ingegno per cavarsela comunque. Insomma, tutt’altro canovaccio rispetto a Superman e ai muscolosi supereroi americani.

Fra l’altro, la 'pozione magica' che consente le portentose accelerazioni di Asterix ricorda molto la soluzione promossa da un certo Charles de Gaulle per mettere il turbo al Paese: una filiera industriale bicefala e quasi 'magica', il nucleare, per ottenere un’energia infinitamente più veloce delle fossili e minacciare pure l’uso dell’arma più fulminante. Divenuto così il Paese più nuclearizzato al mondo (rispetto alla popolazione), la Francia piè veloce s’è lanciata pure in altre accelerazioni, riuscendo a stupire il mondo anche nei trasporti. Dal primo e unico aereo supersonico commercializzato nella storia dell’aviazione civile, il Concorde (in partenariato con i britannici), fino ai treni Tgv, divenuti il simbolo per eccellenza della Francia modernista che ‘'doma' la velocità al servizio di tutti. Una potenza in 'formato compatto', l’odierna Gallia, ma sfrecciante come Asterix, grazie a valenti progettisti e a tanta ambizione. Una Francia lanciata nella «dromosfera», per riprendere un concetto coniato non a caso da un filosofo francese, Paul Virilio.

Nel 2007, il Paese assistette fieramente al record del mondo del Tgv che sfiorò quasi i 575 km orari sulla Parigi- Strasburgo (superati in seguito dal Maglev giapponese, ma senza poggiare sui binari, grazie alla sostentazione magnetica). Quasi un’americanata, dicevano i critici. Ma in ogni caso, una prodezza simbolica e molto pubblicitaria. Come dire: com’è ancora veloce la vecchia Europa... Ma nella scommessa piè veloce dei francesi, qualcosa cominciò a incrinarsi già al passaggio del nuovo millennio, nella scia dei 113 morti provocati, il 25 luglio 2000, dallo schianto del Concorde al decollo da Parigi. Un disastro che contribuì solo 3 anni dopo alla fine dello sfruttamento commerciale dell’ex aereo dei sogni, onerosissimo ed energivoro, in servizio dal 1976.


Vacilla il mito della velocità, celebrato negli anni da Concorde, Tgv, nucleare, e persino dagli eroi dei fumetti.
Con l’elogio della lentezza si rivalutano territori e sostenibilità

E adesso la pandemia chiuderà l’era della grandeur tecno-accelerata? Oltralpe, alcuni se lo chiedono già. Basti pensare al turismo, settore sul quale Parigi puntava per sbalordire il mondo con un’altra accelerazione. Già prima destinazione mondiale per presenze, grazie anche all’invidiabile mobilità integrata, la Francia annunciava di voler divenire nel 2020 il primo Paese della storia a superare i 100 milioni di visitatori stranieri annui. Un altro modo d’esser 'campioni' nel mondo globalizzato. Ma un anno dopo, il 'turbo-turismo' retto da trasporti veloci vacilla più che mai, in un Paese che sta cambiando pelle. Basti pensare alla rivoluzione felpata rappresentata dal trionfo dei Verdi alle Comunali della primavera 2020, vissute in piena pandemia. Tanti capoluoghi, fra cui Marsiglia, Lione, Strasburgo e Bordeaux, sono stati conquistati da giovani sindaci dalla sensibilità slow e spesso allergici ai cantieri ad oltranza.

Tutta un’altra musica rispetto al vecchio slogan con cui Jacques Chirac, non ancora presidente ma già alla guida di Parigi, difendeva negli anni Ottanta la libertà incondizionata di sfrecciare in città: Paris veut rouler, on va tous l’aider( Parigi vuol circolare, l’aiuteremo tutti). Oggi, i cantieri urbani puntano vieppiù su soluzioni 'dolci' come tram e piste ciclabili. Quanto ai Tgv, la nuova tendenza consiste nel concentrarsi sulle linee già esistenti o pianificate da tempo, compresa la Torino-Lione, poco criticata in Francia perché vista come un mezzo per liberare le Alpi dal disastroso traffico dei Tir. «Elogio della lentezza», titolava di recente l’autorevole 'Le Monde', esaltando 5 placide linee ferroviarie di provincia ideali per riassaporare i paesaggi del Paese profondo. Nel frattempo, s’amplifica la vibrante protesta dei piccoli capoluoghi traditi dal Tgv, che reclamano ora d’essere nuovamente serviti, a costo di 'rallentare' le grandi linee. Tanti esperti, poi, ricordano che le spese per promuovere i Tgv hanno fatto trascurare la manutenzione dell’intera rete.

In parallelo, si è già dimenticato il progetto d’un nuovo grande aeroporto sulla costa atlantica, avversato per anni da contestatori irriducibili, poi pure dalla popolazione locale, fino a convincere il presidente Emmanuel Macron a gettare la spugna. Sul fronte della mobilità slow, invece, ben 2 milioni di francesi (tre volte più delle previsioni governative) hanno appena chiesto il sussidio di 50 euro per far riparare le vecchie bici a lungo relegate in garage. Quanto all’energia, le lente pale eoliche fanno sognare oggi molto più delle accelerazioni subatomiche degli atomi d’uranio. Anche senza considerare l’infausta impressione lasciata in Francia dalla catastrofe giapponese d’un decennio fa a Fukushima, il comparto nucleare francese teme ormai d’aver imboccato un vicolo cieco anche tecnologico ed economico. Basti pensare al clamoroso fiasco del maxicantiere di centrale Epr di 'nuova generazione' presso Cherbourg, in Normandia, sorta di fosca galleria dei rischi e derive del settore. Anche per via d’inquietanti vizi strutturali, il progetto s’è arenato, divenendo un gigantesco salasso di denaro pubblico: previsto nel periodo 2006-2012 per un costo di 3,3 miliardi di euro, il cantiere è ancora aperto e si spera ora in un’entrata in servizio a fine 2022, per un costo compreso fra 12,4 miliardi, ovvero la stima ufficiale dell’operatore Edf, e 19,1 miliardi, cioè la vera fattura secondo la Corte dei conti.

Le vicissitudini della tecnologia Epr hanno messo in ginocchio il settore, obbligando lo Stato a salvare in extremis dal fallimento l’ex fiore all’occhiello parastatale Areva, che si chiama ormai Orano, dopo una dolorosissima ristrutturazione. La nuova specializzazione? Smantellare reattori.

A livello geopolitico, invece, la dissuasione nucleare ha ancor più perso credito, sullo sfondo d’una comunità internazionale finalmente capace di mettere al bando l’atomica. La Francia sta davvero togliendosi di dosso i panni d’Asterix? L’ipotesi prende corpo, rimando talora con le analisi di pensatori sensibili pure ai contenuti della Laudato si’ di papa Francesco, come l’antropologo Bruno Latour, autore d’un volumetto appena divenuto un clamoroso successo editoriale: Où suis-je? Leçons du confinement à l’usage des terrestres (Dove mi trovo? Lezioni di confinamento ad uso dei terrestri).

In questo 'racconto filosofico', lo studioso sostiene provocatoriamente che il confinamento legato alla pandemia imprigiona, certo, ma al contempo libera, poiché rivela l’opportunità di tornare ad abitare la Terra non più delineando strategie planetarie di continuo accelerate (come fa il turbocapitalismo), ma ritrovando la 'saggezza' degli esseri viventi, come gli insetti, in simbiosi con risorse e ritmi circostanti. Davvero un bestseller insolito, in una Francia in cui il gusto per la velocità tecnologica mise radici già nell’Ottocento anche grazie ai libri, come testimoniò il successo de 'Il giro del mondo in 80 giorni', pubblicato da Jules Vernes nel 1872. Una storia funambolica, almeno per l’epoca.



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