venerdì 12 febbraio 2010
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L’onda verde torna a dilagare in Iran e non c’è bomba atomica che la possa fermare. «Siamo ormai una nazione nucleare, in grado di produrre uranio altamente arricchito», esulta Ahmadinejad nel giorno della festa nazionale, legando le conquiste di oggi con la Rivoluzione islamica di ieri. È un messaggio a uso interno che rilancia la sfida con la comunità internazionale per compattare la società iraniana attorno al regime teocratico, facendo leva sull’orgoglio identitario del grande Paese sciita. Prima ancora che una terribile minaccia nei confronti d’Israele, dell’Europa e degli Stati Uniti, l’atomica nelle mani degli ayatollah è un’arma di ricatto verso il popolo iraniano. E lo è soprattutto nei confronti del movimento d’opposizione: quanto più s’inasprisce la polemica coi nemici esterni tanto più sarà facile accusare di tradimento e di connivenza con le potenze straniere chiunque scenda in piazza a protestare contro il regime.Ebbene, il ricatto non ha funzionato, l’onda verde (il colore dell’islam divenuto simbolo dell’opposizione) non accenna a rifluire. Otto mesi dopo la massiccia mobilitazione contro i brogli che avevano portato alla rielezione del presidente Ahmadinejad, due mesi dopo le proteste scoppiate nella festività dell’Ashura, ieri molti iraniani sono tornati in piazza per gridare la loro voglia di libertà contro un regime totalitario e oppressivo. Ancora una volta hanno sfidato a mani nude le forze di polizia e gli sgherri del potere, i terribili miliziani "basiji". Hanno affrontato a viso aperto la micidiale macchina repressiva che era stata preannunciata alla vigilia. Nonostante il bavaglio imposto ai giornalisti e la rigida censura calata su Internet, le notizie circolate su Twitter ed i video su Youtube testimoniano, sia pure nella loro frammentarietà, il coraggio indomito di decine di migliaia d’iraniani, le intimidazioni e le aggressioni nei confronti dei leader riformisti e la violenza messa in atto dal regime che avrebbe provocato almeno tre morti e numerosi feriti.L’Iran è sempre più una dittatura, con le prigioni stipate di dissidenti (4 mila dal giugno scorso cui si è aggiunto un altro migliaio dall’inizio di quest’anno), con processi farsa, torture e condanne a morte (le ultime impiccagioni risalgono a pochi giorni fa), e con il terrore che diventa pratica quotidiana. Una dittatura tanto più odiosa quanto più usa il pugno di ferro in nome di Dio. Ad essere contestato non è più solo il presidente Ahmadinejad ma lo stesso leader supremo Khamenei, il garante del sistema teocratico che si è appiattito sullo schieramento ultra-conservatore.È dentro questa drammatica partita tra il regime e la società che va colllocata la questione del nucleare iraniano. Per costringere Teheran a fermare la corsa all’atomica le potenze occidentali stanno pensando all’inasprimento delle sanzioni, un’arma che si è rivelata spesso a doppio taglio, colpendo la popolazione invece che il potere. Ma quel che davvero può sconfiggere i "mullah atomici" non sono le sanzioni (e ancor meno una sciagurata azione militare) bensì la forza disarmata dei movimenti d’opposizione. Più che il regime degli ayatollah l’occidente dovrebbe assumere come interlocutore la società civile iraniana, schierandosi apertamente con il movimento dal basso che sta scuotendo le fondamenta del regime. Teniamolo presente: è questa voglia di libertà la vera bomba a tempo che si porta dentro l’Iran.
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