mercoledì 30 novembre 2016
Porta della democrazia dell’investitura
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Caro direttore,

come italiano, tra poco sarò chiamato a esprimere il mio voto sul referendum di riforma costituzionale. Sono un prete missionario nel Brasile, più precisamente nel Sertão, una delle zone più arretrate di questo grande Paese. Non sono un professore di diritto costituzionale, ma un cittadino grato alla nostra Costituzione e preoccupato per quanto sta accadendo. Per questo voterò No. Una maggioranza a mio parere “incostituzionale” si è arrogata il diritto di modificare un terzo della Costituzione. Questa riforma è stata approvata da un Parlamento eletto con legge elettorale dichiarata incostituzionale (il Porcellum) perché ha violato il principio di rappresentatività. Nel 2013 il Pd, con il 30% dei voti, ha ottenuto più del 50% dei rappresentanti della Camera. Per il principio della continuità dello Stato, la maggioranza ha continuato a esercitare la sua funzione, che si sarebbe dovuta limitare a fare le cose ordinarie, procurando di andare presto alle elezioni.

Ritengo che con la nuova riforma il potere si accentrerà nelle mani di pochissimi, esautorando la sovranità popolare, autentico caposaldo della Carta del 1948. La combinazione di questa riforma costituzionale con la legge elettorale attuale, l’Italicum, concentra tutto il potere nelle mani di una persona. Secondo questo schema il capo del partito che vince – dopo una prima fase di elezioni e un ballottaggio tra i primi due partiti – si ritrova con una maggioranza assoluta di deputati alla Camera, il 56%, e con il potere legislativo accentrato nella Camera stessa. Circa i due terzi dei candidati a deputati saranno scelti personalmente dal capo del partito (lista bloccata). In sostanza il capo del Governo si troverebbe a controllare la Camera con una maggioranza di deputati scelti personalmente da lui o dal suo entourage.

L’attuale referendum è in realtà un plebiscito, trasformandosi in una fiducia personale data a Renzi: stiamo andando verso una deriva populista. Perché vi sia referendum è infatti necessario votare Sì o No su una materia precisa, omogenea e unitaria. Qui – ripeto – invece viene proposta la modifica di 1/3 della Costituzione. Potrei essere d’accordo come cittadino su alcuni punti e non su altri, ma sono costretto a dire un Sì o un No globale. Il rapporto tra Camera e Senato diventerà molto intricato e conflittuale, con diversi punti non chiari e incostituzionali. La funzione legislativa, come detto, viene accentrata nella Camera.

Al Senato rimarranno alcune competenze legislative, specialmente in materia di rapporti con l’Europa e di relazioni tra Regioni e Stato. Il problema è che su materie di così grande importanza dovranno decidere sindaci e consiglieri regionali, già oberati di lavoro, e che si ritroveranno a Roma ogni tanto per discutere di queste cose: temo un vero e proprio approccio dilettantistico. Inoltre questi senatori non saranno pagati, ma godranno dell’immunità. Passeremo da una democrazia rappresentativa (partecipativa) a una democrazia di investitura. Il popolo non sarà più soggetto della politica e si sancirà la morte dei corpi sociali intermedi. Questo mi sembra uno dei punti centrali sotteso a tutta la riforma. L’unica funzione del popolo sarà, in realtà, quella di eleggere il presidente del Consiglio, che gestirà il potere.

L’idea è quella di un governo forte ed efficiente, che possa decidere con velocità, alzando la cornetta e parlando con quelli che contano nel mondo. Il popolo si limiterà a investire il suo capo di Governo: in soldoni è la «democrazia dell’investitura». Il concetto centrale espresso nella prima parte della Costituzione è invece esattamente l’opposto. La sovranità appartiene al popolo. Questo comporta che il popolo, quando elegge i suoi rappresentanti, non cede la sovranità. Il popolo non la cede mai. In conclusione: la nostra Costituzione non si può “riformare” stravolgendola, ma solo revisionare e interventi sui costi della politica potevano e possono essere fatti con legge ordinaria. Perché non tornare piuttosto a quello che si seppe fare nel nostro Paese nel Dopoguerra, con l’Assemblea Costituente: non è una semplice questione formale, ma di sostanza per la nostra democrazia.

*Sacerdote fidei donum in Brasile della Diocesi di Reggio Emilia

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