Il processo avviato nella Colombia che ospita il Papa
giovedì 7 settembre 2017

Il viaggio iniziato ieri sera da papa Francesco in Colombia è un evento epocale, e sottolinearlo non è affatto retorico. L’argentino Bergoglio raggiunge quello che va considerato come uno dei più tormentati, ma anche più vivaci, Paesi latinoamericani, sulle orme di due suoi predecessori, Paolo VI e Giovanni Paolo II, che si recarono in Colombia rispettivamente nel 1968 e nel 1986. Rispetto ad allora lo scenario sociale e politico del Paese è radicalmente cambiato, in meglio, sotto vari punti di vista.

Ma ciò non toglie che la Colombia viva oggi uno dei momenti più delicati della sua storia recente: gli accordi di pace raggiunti faticosissimamente lo scorso anno – al termine di un conflitto pluridecennale che ha seminato otto milioni di vittime e prodotto una marea di sfollati interni – dev’essere concretizzato, affrontando e sciogliendo i molti nodi (politici, economici e sociali) che ancora permangono. Di più: dagli accordi di pace sulla carta è tempo di passare a una cultura di pace, perdono e riconciliazione. Alcuni settori della società civile (e finanche persone che si professano cristiane) hanno detto e ripetuto che non intendono accettare quanto pattuito tra governo e Farc. Per tale ragione, non vedono di buon occhio l’arrivo del Pontefice, che ha scelto come motto del viaggio Demos el primer paso, ovvero: facciamo, per primi, il passo.

Papa Francesco non ignora tutte queste difficoltà sul suo cammino, ma – l’abbiamo visto anche in altre occasioni (dal Centrafrica all’Egitto e, presto, in Bangladesh e Myanmar) – non è tipo da sottrarsi ai rischi. Di fronte alle situazioni ingarbugliate del pianeta, come guida di quella Chiesa che egli preferisce ammaccata ma 'in uscita', Francesco anche stavolta ha deciso di gettarsi nella mischia. Per tale ragione, visitando quello che è stato definito «il Paese dell’eccesso» (tanto è stata brutale, duratura e capillare la violenza che l’ha colpito), il Papa ha deciso di dedicare un’attenzione non comune – quasi 'eccessiva' – a questa terra, il cui dramma è stato mirabilmente sintetizzato in alcuni quadri, tanto crudi quanto provocatori, di Fernando Botero.

Il fatto di concentrare il viaggio in una sola nazione, a differenza di quanto accaduto in altri casi, e di toccare ben quattro città, rappresenta un segnale forte che dice l’intenso coinvolgimento personale del capo della Chiesa cattolica nel processo in atto. Del resto, proprio la Chiesa è stata, in questi decenni, un attore decisivo del cammino verso la tanto attesa pacificazione. E ha pagato col sangue l’impegno di tanti sacerdoti, vescovi, laici e religiosi impegnati per la pace: per lunghi anni gli elenchi degli operatori pastorali uccisi, stilati da Fides, hanno visto la Colombia detenere un triste primato. Un vescovo-martire, monsignor Jesús Emilio Jaramillo Monsalve, ucciso nel 1989, sarà proclamato beato dal Papa, nel corso del viaggio, insieme al sacerdote Pietro Maria Ramírez Ramos, martirizzato nel lontano 1948.

Chi scrive ha avuto occasione di incontrare, a casa sua, il gesuita Francisco De Roux, protagonista di un ambizioso e lungimirante progetto di sviluppo sostenibile e di educazione alla pace in una delle aree più critiche della Colombia, il Magdalena Medio. Ebbene, padre De Roux ha perso più di un collaboratore, falciato dall’odio omicida di chi non si arrende all’idea che il Paese possa avere un futuro diverso e il cui nome non sia più associato – come purtroppo accade oggi – a coca, violenza, guerriglia, desplazados... In Colombia, molto più che altrove, la Chiesa si sta mostrando da anni come ciò che il suo Signore vuole che sia: una presenza amorevole di consolazione e accompagnamento per tante vittime, una voce di denuncia coraggiosa contro prevaricazioni, violenze e abusi (che siano stati perpetrati da Farc, Enl, paramilitari o esercito poco importa), una realtà profetica che chiede a tutti la conversione del cuore per costruire una società migliore e una pace duratura.

Padre Leonel Narvaez Gomez, missionario della Consolata, inventore delle «Scuole di perdono e riconciliazione» diffuse ormai in molte località del Paese, afferma che, finalmente, oggi si cominciano a vedere i frutti di tale testimonianza: «Il tema del perdono è entrato nell’agenda pubblica». Un miracolo, una rivoluzione direbbe qualcun altro, se solo si pensa alla situazione di qualche anno fa. Sotto gli occhi del mondo, in Colombia si sta avverando quanto scrive san Paolo: «Dove sovrabbondò il peccato abbondò la Grazia».

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