La Colombia chiama, l'Italia resta in silenzio
domenica 23 maggio 2021

Caro direttore,

cinquanta morti dall’inizio delle manifestazioni, soprattutto giovani, studenti e giovani leader delle Comunità Indigene, come Daniela Soto. Centinaia di feriti, una vera e propria 'strategia di terrore' messa in atto dalla forza di polizia colombiana. Le terribili immagini dell’arma Venom che spara lacrimogeni per le strade, non ci possono lasciare indifferenti, specialmente se l’impresa che fabbrica Venom è la spagnola Vimad Global Service, che vede tra i suoi partner la Leonardo, impresa italiana partecipata al 30% dal nostro Ministero dell’Economia e delle Finanze. Senza alcun dubbio sono affari 'made in Europe'.

Voci di indignazione, sulle sistematiche violazioni dei diritti umani, si sono alzate in questi giorni. C’è stata l’esortazione alla preghiera di papa Francesco per la fine della violenza nelle città colombiane, che si unisce alla mobilitazione dell’arcivescovo di Cali, Darío de Jesús Monsalve, che nella sua lettera afferma: «Siamo tutti soggetti di diritti, doveri, bene comune e benessere! Protesta senza armi e dialogo per arrivare a un accordo».

Tra le tante dichiarazioni delle cancellerie europee e della Unione Europea, si nota il silenzio dell’Italia. I deputati Laura Boldrini, presidente del Comitato per i diritti umani, Lia Quartapelle e Graziano Del Rio, hanno depositato un’interrogazione parlamentare per chiedere al nostro Governo quali azioni intende porre in essere per chiedere allo Stato colombiano di mettere fine alla repressione. L’Italia non può continuare a tacere e non deve dimenticare di aver pagato un contributo altissimo all’impegno per la Pace in Colombia: la vita di Mario Paciolla, giovane collaboratore delle Nazioni Unite, morto in circostanze non ancora chiarite e per il quale si è mobilitata tanta nostra società civile. Eppure, per Roma, la Colombia sembrerebbe un luogo e un problema 'non strategico'. Nonostante tutto. Nonostante la morte di Paciolla, nonostante le organizzazioni criminali colombiane siano fortemente intrecciate con quelle italiane, nonostante i corpi e le vite dei cooperanti siano al servizio del popolo colombiano. Non basta. Così come non è bastata la morte di Giulio Regeni e la totale non collaborazione dell’Egitto nelle indagini per chiarirne le cause.

La vita e le sorti dei giovani colombiani che protestano in queste settimane e le storie di Giulio Regeni, Mario Paciolla, Ilaria Alpi e Nadia De Munari sembrano lontane tra loro, ma non è così. C’è un filo rosso che le lega: è quello della ricerca della verità sul traffico di armi, di contrasto alle economie criminali, della lotta per diritto alla terra. Il diritto a una vita degna, unico antidoto allo sfruttamento e alla violenza.

Ecco perché l’Italia non può rimanere ancora in silenzio. È tempo di uscire dall’indifferenza, di riportare la vera politica nelle relazioni internazionali di prendere una posizione chiara su quanto sta accadendo in Colombia. Il Parlamento si faccia sentire, sospendendo l’esame del Trattato di libero commercio tra Ue e Colombia. E il Governo raccolga la visione profetica di don Oreste Benzi e dia corso, partendo dalla Colombia, alla prima sperimentazione del Ministero della Pace, quale avamposto di riconoscimento della presenza italiana nelle aree di grave tensione, in grado di superare le forze disgreganti e reagire alle spinte violente che scaturiscono dai conflitti sociali ed economici e dalle periferie dell’emarginazione. È necessaria che l’Italia si impegni, in dialogo con le organizzazioni sociali colombiane, per un concreto monitoraggio internazionale sul compimento degli Accordi di Pace siglati nel 2016, in particolare su riforma rurale integrale e diritto alla terra, sostituzione delle coltivazioni illecite e messa al bando delle fumigazioni.

già parlamentare, impegnata in missioni in Colombia in collaborazione con la società civile: Comunità Papa Giovanni XXIII, Osservatorio Selvas, Fondazione Pangea

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