Il dialogo islamo-cristiano riparte da migranti e clima
domenica 31 marzo 2019

Arriva già una conferma dalle tappe inaugurali del viaggio di Francesco in Marocco. Questa visita è una sorta di cartina di tornasole non solo dei rapporti tra cristiani e musulmani, ma di tutti i temi e le questioni al centro del travagliato scenario internazionale del nostro tempo. Cultura dell’incontro, impegno nel dialogo interreligioso e 'politica' della mano tesa. Rifiuto della violenza, dell’estremismo e peggio ancora del terrorismo. Promozione della libertà religiosa e della libertà di coscienza, come espressione della inalienabile dignità di ogni essere umano. Speciale e pacifico statuto di Gerusalemme, città santa delle tre religioni monoteistiche. Lotta alla discriminazione delle minoranze religiose e, naturalmente, un preoccupato eppure speranzoso accento posto sui due problemi più pressanti (e per molti versi interconnessi tra loro) che governanti e cittadini si trovano ad affrontare nella congiuntura presente: la necessità sempre più avvertita di una conversione ecologica da un lato; e la «grave crisi migratoria» dall’altro, cui il Papa ha dedicato ieri parole lucide e accorate, chiedendo ad esempio di «non accordare nuovi spazi ai mercanti di carne umana» e auspicando «l’ampliamento dei canali migratori regolari », durante l’incontro con un folto gruppo di migranti a Rabat.

Perciò, fin da questo esordio, l’itinerario papale supera anche le aspettative di viaggio in qualche modo 'gemello' di quello straordinario ad Abu Dhabi di due mesi fa. Qui lo sguardo ampio di Francesco diventa fonte di un appello globale a «cercare i mezzi concreti per sradicare le cause che costringono tante persone a lasciare il loro Paese». E come sempre avviene nelle scelte del pontificato bergogliano anche questa visita coniuga dimensioni simboliche con messaggi inequivocabili e diretti. Sotto il primo profilo non deve sfuggire che il Marocco è «ponte naturale tra l’Africa e l’Europa», come lo stesso Pontefice ha detto al suo arrivo, e che proprio in questa terra sono stati ospitati negli ultimi anni tre summit internazionali di grande rilievo sui temi subito entrati nell’agenda del viaggio: la conferenza internazionale sui diritti delle minoranze religiose nel mondo islamico nel 2016, la conferenza internazionale sui cambiamenti climatici Cop 22 sempre nello stesso anno e la conferenza intergovernativa sul Patto mondiale per una migrazione sicura lo scorso dicembre. Per quanto riguarda i messaggi, invece, proprio il richiamo a quei summit internazionali fa intendere innanzitutto che per il Papa la strada da percorrere passa attraverso la concertazione e il multilateralismo all’interno della grande famiglia delle nazioni. Ma d’altro canto Francesco non omette di sottolineare che oltre e dietro tutte le questioni ci sono sempre gli occhi, i volti, le storie, le sofferenze (spesso disumane) di uomini donne e bambini. E che è a loro che bisogna guardare. Persone, non numeri, né tanto meno masse indistinte. Lo ha detto a chiare lettere il Vescovo di Roma quando ha ricordato che «non si tratta solo di migranti, come se le loro vite fossero una realtà estranea o marginale», «come se la loro qualità di persone con diritti restasse 'sospesa' a causa della loro situazione attuale». In gioco, in sostanza, c’è «il volto che vogliamo darci come società e il valore di ogni vita», ha insistito papa Bergoglio.

E il discorso fatto per chi lascia la sua terra può essere ripetuto per chi è discriminato a causa del suo credo, per chi è vittima del terrorismo, per chi vive sulla propria pelle le conseguenze disastrose dei cambiamenti climatici, per chi va a sbattere contro i muri veri e metaforici eretti, specie sulla nostra sponda del Mediterraneo, per ignoranza, paura del diverso, xenofobia e razzismo. A servizio di questa umanità Francesco chiede di indirizzare ogni sforzo. Compreso quel dialogo islamo-cristiano che anche ieri è stato il filo rosso con cui il Pontefice insieme al suo ospite, il re Mohammed VI, ha cucito i diversi momenti della visita, compresa la sosta all’istituto dove si formano gli imam (la formazione è fondamentale, ha detto, per prevenire l’estremismo che porta al terrorismo). Dialogo tanto più necessario, quanto più avanzano il fanatismo e la violenza che bestemmiano il nome di Dio. Dialogo per riconoscersi fratelli nella diversità. E soprattutto per costruire quella pace globale mai tanto a rischio oggi, se dovessero prevalere quanti vorrebbero imporre odio e intolleranza.

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