venerdì 25 novembre 2016
La popolazione nipponica è in diminuzione. E la situazione è destinata a peggiorare. Il rischio di tensioni sociali. Una lezione per tutti
Anziane donne giapponesi

Anziane donne giapponesi

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Con la morte, a quasi 101 anni d’età, del principe Mikasa, zio paterno dell’imperatore giapponese Akihito, si sono ridotti a quattro gli eredi candidabili alla successione: il principe Naruhito, 56enne; il principe Akishito, 50enne; il suo ultimogenito Hisahito, di 10 anni e il principe Hitachi, 80enne, di soli due anni più giovane dell’attuale imperatore, che proprio in ragione della sua età avanzata ha perorato una riforma legislativa che gli permetta di dimettersi. La scarsità di eredi maschi potrebbe addirittura mettere a repentaglio la sopravvivenza della più antica monarchia esistente al mondo, oltre ad avere aperto il dibattito sulla possibilità di una successione al femminile. Ma, ciò che soprattutto merita di essere segnalato, è come le vicende della casa regnante siano un’efficace metafora di quelle di un Paese che, pur essendo ancor oggi uno dei più popolati al mondo, sembra essere avviato all’estinzione demografica.

Per una singolare coincidenza, The Japan Time del 28 ottobre 2016 riportava, in prima pagina, accanto alla notizia della morte del principe Mikasa – testimone, nella sua lunga vita, dei momenti più tragici della storia del Giappone moderno ma anche del suo straordinario miracolo economico – riportava i risultati definitivi del censimento del 2015. Per la prima volta dal 1920 (anno al quale risale il primo censimento, quando il principe Mikasa aveva solo 5 anni), la popolazione complessiva registra una diminuzione, attestandosi a 127.094.749 (-0,8% rispetto al 2010), quota comprensiva di 1 milione e 700mila stranieri: certamente pochi, se si considerano le dimensioni del Paese e la sua situazione demografica (simile a quella dell’Italia, dove però l’incidenza di stranieri è di circa sei volte tanto), ma comunque significativa se si tiene conto della ritrosia con la quale il Giappone ha accettato la sua inesorabile trasformazione in Paese d’immigrazione, capace nel tempo di sconfessare il dogma della purezza etnica. Ma a definire i caratteri del quadro demografico è soprattutto la distribuzione per età, che vede entrambe le fasce estreme – quella dei più giovani, sotto i 15 anni, e quella dei più anziani, oltre i 65 – raggiungere livelli record: negativo nel primo caso (12,6%), 'positivo' nel secondo (26,6%, con una crescita di ben 3,6 punti percentuali in soli 5 anni).

Trend destinati a rafforzarsi ulteriormente nei prossimi anni, con la transizione alla terza età delle coorti più giovani dei baby boomers, e con il progressivo assottigliamento della popolazione in età riproduttiva. L’eccezionale crescita nella domanda di care givers, cioè di persone che si prendono cura di chi ha bisogno, è una delle conseguenze facilmente prevedibili: si stima, infatti, che nel 2025 circa 6 milioni di anziani ultra-75enni avranno necessità di essere accuditi. Ed è proprio per rispondere a una domanda crescente che un disegno di legge attualmente in discussione prevede misure discutibili, come quella di consentire ai tirocinanti stranieri di lavorare. Di fatto, un modo per avvantaggiarsi di una manodopera a basso costo, nobilitandolo attraverso la retorica del brain gain, l’acquisizione di competenze utili a sostenere lo sviluppo dei paesi d’origine una volta che i tirocinanti vi faranno ritorno, come ci si aspetta che facciano. D’altro canto, è proprio un’inchiesta del ministero della Sanità, lavoro e welfare a denunciare come addirittura nel 70% dei casi l’impiego dei tirocinanti sia accompagnato da abusi e violazioni dei loro diritti. E, d’altro canto, sono proprio i salari più bassi rispetto agli altri settori d’impiego a spiegare le difficoltà che il comparto della cura registra nel reclutare e trattenere il personale. Sconcertante epilogo per un Paese in cui il culto degli antenati e il rispetto degli anziani hanno rappresentato un collante identitario. E in cui è soprattutto nello sviluppo della robotica che sono riposte le attese di poter reggere il 'peso' di una popolazione sempre più longeva.

L'altro polo dell’emergenza demografica è costituito dallo scarsissimo numero di nascite, che produce nel tempo – in Giappone esattamente come in Italia – l’involuzione di una società longeva in una società 'vecchia', inesorabilmente avviata al declino (a maggior ragione vista la reticenza a vedere negli stranieri una componente strutturale della società giapponese, rinunciando alle lusinghe della migrazione temporanea o circolare). I temi del work & life balance, la conciliazione tra i tempi del lavoro e della famiglia, hanno necessariamente acquisito una inedita centralità in un Paese incline a celebrare la fedeltà e l’attaccamento all’azienda come i capisaldi di un modello di sviluppo che, negli anni 80 e 90, era additato come vincente proprio in ragione della sua (sic!) sostenibilità. Ma la conciliabilità con le richieste di un lavoro troppo invasivo è solo una delle dimensioni cui occorre prestare attenzione per dare ragione di comportamenti procreativi le cui conseguenze, nel volgere di poche generazioni, saranno ben più profonde di quelle delle guerre che hanno visto coinvolto il Giappone.

Il valore medio di 1,3 figli per donna è frutto, certamente, della situazione di molte famiglie indotte a mettere al mondo meno figli di quanti ne avrebbero desiderati per cause collegate al costo della vita e all’organizzazione quotidiana delle coppie a doppia carriera; ma è anche l’esito di uno straordinario numero di donne che, esattamente come avviene in Italia e in parte del mondo occidentale, giungono al termine dell’età riproduttiva senza avere avuto alcun figlio, complici certamente ragioni collegate alla fecondità, ma sempre più spesso all’assenza di una relazione di coppia votata alla generatività. È questo il dato più inquietante e doloroso col quale dovrebbe fare i conti un Paese custode di una tradizione millenaria e che è stato in grado di rinascere dopo le devastazioni dei primi ordigni atomici lanciati sulla terra. Chiedendosi come mai nascono più bambini nella Siria distrutta da una guerra civile che si protrae da anni o nell’Eritrea oppressa da un regime sanguinario. Chi è davvero senza speranza?

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