Un giorno di vera tregua a Gaza, restituito un altro corpo
di Luca Foschi
Preghiere tra le rovine delle moschee, mentre Israele seppellisce un ostaggio morto. Nessuna vittima da 24 ore

Genuflessi nel piazzale che prima annunciava la moschea, accanto al moncone di un minareto, o fra gli scheletri degli edifici distrutti, alti sul panorama di macerie, fino al mare. Per la prima volta dopo sette mesi dall’ultima rottura della tregua, ieri il popolo di Gaza ha celebrato il venerdì di preghiera senza che droni, caccia, navi e carri armati facessero tremare la terra, sfrecciare le ambulanze.
È il primo giorno senza notizia di uccisi, la tregua somiglia a una tregua. Ma urla ancora la fame: «Ci vorrà del tempo per ridurre la carestia», ha detto Abeer Etefa, portavoce del World food programme (Wfp/Pam) per il Medio Oriente. Dal cessate il fuoco del 10 ottobre sono entrate in media nella Striscia 560 tonnellate di cibo ogni giorno, una quantità ancora al di sotto del necessario.
Oggi nove panifici lavorano incessantemente per sfornare 100.000 pacchi di pane da due chili ognuno: «Bisogna agire in fretta, perché questi bambini, le madri incinte e quelle che allattano sono in grave stato di denutrizioni da molti mesi.
Il profumo del pane fresco a Gaza è più di un semplice nutrimento, è un segnale della vita che ritorna. Disponiamo di cinque punti di distribuzione, ma l’obiettivo è di crearne 145, per inondare Gaza di cibo», ha sottolineato con speranza Etefa, dando una misura all’emergenza, come se i valichi fossero dighe pronte a sbarrarsi. Tsav 9, un gruppo israeliano di estrema destra, ha bloccato ieri i camion carichi di aiuti umanitari diretti al valico di Kerem Shalom. Rafah riaprira invece forse domani l’accesso dall’Egitto. In un messaggio, il gruppo estremista ha affermato che «Hamas sta violando l’accordo di cessate il fuoco. Nessun camion passerà finché l’ultimo ostaggio morto non verrà restituito». Rimangono ancora 18 salme da consegnare alle autorità israeliane, sepolte nel labirinto di rovine lasciato dalla guerra: 70 milioni di tonnellate di macerie, dove si nascondono almeno 20.000 ordigni inesplosi, sostiene il governo di Hamas. Dicviotto corpi, perché in serata Hamas ha consegnato a israele un cadavere recuperato ieri. Durante le trattative che hanno preceduto la tregua il movimento islamista ha reso esplicite le difficoltà del recupero. Gli ostaggi erano distribuiti fra diverse fazioni, molti comandanti militari sono morti, non esistono a Gaza mezzi ingegneristici adeguati. I negoziatori americani, e anche il presidente Trump, sembra siano convinti dell’oggettiva complessità della operazione. L’emittente al-Jazeera ha mostrato un video in cui le ruspe operano con solerzia, anche di notte. L’attesa per il ritrovamento delle salme offre spazio al dubbio, all’accusa, alla manipolazione, resta una leva diplomatica, è una delle faglie che potrebbe far saltare la tregua.
Per questo gli 81 tecnici dell’Afad, l’organizzazione turca per i disastri e le emergenze, attendono sul confine egiziano l’autorizzazione a entrare. «Inizialmente, Israele ha preferito lavorare con una squadra del Qatar», ha dichiarato un funzionario del ministero degli Esteri turco.
Secondo una fonte di Hamas, la delegazione dell’Afad sarà in grado di entrare nella Striscia già domenica. In questa fase delicata il movimento islamico ha affidato la sua posizione a una nota in cui esprime «il profondo apprezzamento per gli sforzi compiuti negli ultimi due anni da Egitto, Qatar e Turchia per fermare la guerra», e chiede che la loro azione insista nel portare a compimento tutti i punti dell’accordo, in particolare la formazione del comitato che dovrà amministrare la Striscia di Gaza.
Lontano dalle macerie il presidente israeliano Isaac Herzog ha pronunciato l’elogio funebre al funerale dell’ostaggio Inbar Haiman, soldatessa 27enne, il cui corpo è stato restituito mercoledì: «Siamo qui per offrirti finalmente un luogo di riposo nel paesaggio della tua patria. Sono stati due anni in cui le domande ti stringono il cuore e non ti lasciano andare».
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