Se il prezzo della benzina può azzoppare lo zar più della guerra

La Russia fa i conti con la carenza di carburante dovuta agli attacchi ucraini alle raffinerie
October 18, 2025
Se il prezzo della benzina può azzoppare lo zar più della guerra
Stazione di servizio della Lukoil a Mosca/ ANSA
«Si sta a lungo in coda al distributore. Al massimo 30 litri di benzina a testa vengono versati nel serbatoio o in una tanica». Un cittadino della Crimea, intervistato dal canale “Rbk”, appare stanco per l’attesa. Da settimane l’approvvigionamento di carburanti è diventata un’impresa. Nella “penisola contesa” non sono poche le stazioni chiuse. Per evitare speculazioni, il governatore Sergeij Aksionov ha pure annunciato il congelamento dei prezzi di benzina e di gasolio per trenta giorni, chiedendo alla gente «di non fare scorte e di rifornirsi come sempre», senza esagerare. La Russia rischia di fare la stessa fine dell’Iran, Paese ricco di petrolio, ma con la benzina razionata. Anche nell’Estremo Oriente non ce la si passa meglio; attorno al Bajkal, in Siberia, la vendita di benzina AI-95 è stata temporaneamente limitata a causa del ritardo nella consegna delle autocisterne.
«Sono in crisi le regioni in cui le infrastrutture energetiche sono più deboli o la catena di approvvigionamento è eccessivamente lunga», spiegano gli specialisti. Le difficoltà sono a macchia di leopardo: ad esempio, nelle oblast di Mosca e di Krasnodar (al sud, sul mar Nero) si fa rifornimento senza problemi. Gli attacchi dei droni ucraini alle raffinerie sono arrivati a provocare la riduzione di circa un quinto della produzione giornaliera nazionale, secondo calcoli di fonte occidentale. Impressionante è l’azione chirurgica di Kiev, supportata da un’attenta pianificazione di intelligence: da gennaio 21 dei 38 maggiori impianti del Paese sono stati bombardati, spesso più volte (quelli di Volgograd 6 volte da gennaio, quello di Rjazan 5). L’impennata degli attacchi si è registrata tra agosto e settembre, rispettivamente 14 e 8 raffinerie, messe fuori uso per alcuni giorni o settimane. E con loro sono stati danneggiati pipeline, depositi e porti petroli. Persino lo scalo di Primorsk, nella blindatissima regione di Leningrado, è stato colpito.
L’obiettivo dell’offensiva di Kiev è triplice. Primo: ridurre le entrate finanziarie del Cremlino dall’estero. Secondo: diminuire le forniture di carburante alle truppe in Donbass. Terzo: far alzare i costi del “pieno” per la popolazione – quindi più inflazione. Mosca non comunica mai l’entità dei danni, ma gli effetti dell’offensiva di Kiev sono sotto gli occhi di tutti. Da gennaio il prezzo all’ingrosso della benzina è aumentato del 50% con ripercussioni immaginabili sulla vita dei cittadini; la Russia ha annunciato il divieto di esportazione di benzina all’estero fino alla fine dell’anno. Il governo minimizza. Secondo il ministro dell’Energia Aleksandr Novak «è tutto sotto controllo». In precedenza l’Associazione russa del carburante (Rts) gli aveva inviato una lettera in cui si sosteneva che la redditività delle stazioni di servizio è oggi in territorio negativo e alcune di loro stanno già cessando l’attività. Emergono, in sintesi, le contraddizioni e il non corretto sviluppo di alcuni segmenti dell’economia federale.
La complessa situazione è aggravata dalle dolorose sanzioni internazionali. Secondo l’agenzia “Reuters” ad agosto si sono registrate le minori entrate finanziarie dalla vendita di “oro nero” degli ultimi cinque anni. Ma a settembre le cose non sono andate meglio. Stando ai dati Lseg, le importazioni turche di petrolio russo sono scese al livello più basso da aprile. La Turchia è il secondo importatore di greggio Urals trasportato via mare dopo l'India. Non ha aderito alle sanzioni occidentali contro la Russia, ma rispetta le leggi e le restrizioni internazionali. Secondo l’agenzia “Bloomberg” l’India ha comunicato all'Amministrazione Trump che una significativa riduzione delle quantità acquistate da Mosca sarà possibile solo se Washington acconsentirà alla ripresa dei rapporti con fornitori sanzionati come Iran e Venezuela. Alla Casa bianca tocca scegliere il male minore! Come si ricorderà, Trump ha imposto pesanti dazi a New Delhi come punizione per l’importazione di petrolio russo. Secondo i dati del ministero del Commercio indiano a luglio il prezzo medio di un barile di petrolio russo era di 68,90 dollari, rispetto ai 77,50 dollari di quello saudita e ai 74,20 dollari dell’americano. Dal 2022 Mosca viene costretta a sensibili sconti per ovviare alle sanzioni occidentali.
«E meno male che siamo produttori – sospira Igor, guardando il prezzo di un litro di benzina». Peccato che il moscovita si dimentichi del perché di questa situazione.

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