sabato 20 aprile 2024
Il popolo di agricoltori, ridotto alla fame dalla guerra, ha visto la propria terra al confine tra Etiopia ed Eritrea trasformarsi in una prigione a cielo aperto. La denuncia del vescovo Medhin
Nelle regione settentrionale del Tigrai la comunica cattolica è a rischio

Nelle regione settentrionale del Tigrai la comunica cattolica è a rischio - Web

COMMENTA E CONDIVIDI

Una minoranza cattolica in Tigrai, stremata da tre anni e mezzo di occupazione brutale e violenta da parte dell’esercito eritreo, rischia l'estinzione. Nella regione autonoma dell'Etiopia settentrionale – dopo due anni di guerra civile che hanno causato almeno 600 mila morti, milioni di sfollati e una carestia – si sta consumando la tragedia della comunità degli Irob.

Di loro, ultimi tra gli ultimi, parla solo il vescovo cattolico di Adigrat Tesfaselassie Medhin, il loro pastore. Nella lettera ai donatori scritta per la Pasqua, che i cristiani etiopi ed eritrei come gli ortodossi festeggiano il 5 maggio, il presule si dichiara testimone «in tutto il Tigrai di una indicibile sofferenza, disuguaglianza, disagio e morte dovuta a due anni di conflitto, siccità e mancanza di attenzione ai bisogni essenziali». In particolare il prelato di Adigrat ricorda le comunità «marginalizzate degli Irob con le loro inimmaginabili sofferenze».

Sono 50 mila persone che vivono da secoli in un territorio rurale e montuoso al confine tra Etiopia ed Eritrea occupato dalle truppe di Asmara nel novembre 2020 in attuazione, dicono del trattato di Algeri del 2001. Da allora questo popolo di agricoltori ridotto alla fame ha visto la propria terra trasformarsi in una prigione a cielo aperto da cui non si esce neppure per curarsi e in cui manca tutto. Durante gli anni del conflitto in Tigrai, gli eritrei, chiamati dal premier etiope Abiy Ahmed per combattere con le truppe federali etiopi i comuni nemici del partito tigrino del Tplf, hanno invaso la regione.

Mentre veniva condotta in tutto il Tigrai una guerra di sterminio della popolazione civile, nell’Irob hanno chiuso i confini dividendo le famiglie e impedito l'accesso agli aiuti. Quindi hanno iniziato un processo di assimilazione forzata imponendo la lingua e i documenti eritrei di identità in violazione delle leggi internazionali, procedendo all'arruolamento forzato che nell'esercito asmarino dura fino ai 50 anni. Chi si ribella sparisce senza processo, come accade da un quarto di secolo nell'Eritrea retta col pugno di ferro dal regime militare di Isaias Afewerki, e proprio come nello stato caserma confinante ci sono ovunque spie pronte a denunciare gli oppositori. I sacerdoti cattolici sono nel mirino. Asmara ritiene che il trattato di Algeri del dicembre del 2000, che ha posto fine alla guerra di confine tra Etiopia ed Eritrea del 1998-2000, le assegni la provincia Irob. Ma storicamente non è mai stata parte della ex colonia Eritrea e gli abitanti sono sempre stati etiopi. L’ occupazione quindi violala vecchia regola africana per cui i confini degli stati indipendenti devono rispecchiare quelli coloniali.

«Siamo vittime di una pulizia etnica – denuncia Rita Kahsay, direttrice dell’associazione Irob Anina Civil Society che difende i diritti di un popolo che nemmeno le truppe coloniali italiane riuscirono a piegare nel secolo scorso – inoltre nessuno ha mai chiesto il nostro parere sul trattato di Algeri che viola le convenzioni Onu sui diritti dei popoli indigeni. Le nostre case sono state saccheggiate, chi si oppone sparisce e non si sa più nulla di lui. I funzionari eritrei riuniscono gli abitanti nelle città e nei villaggi e gli dicono che o accettano di cambiare nazionalità ritirando i nuovi documenti oppure se ne devono andare. Ma questa è la nostra terra».

La strada che collega Adigrat ad Alitena è bloccata, gli aiuti arrivano solo dalle strade militari italiane sui monti, molto pericolose. I giovani fuggono e il futuro degli è cupo. Gli Irob chiedono l’intervento di Addis Abeba prima che sia troppo tardi.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: