venerdì 23 febbraio 2018
Alle 18 si pronuncia il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Dubbi sulla posizione della Russia. Nel Ghouta il massacro continua
Slittato a stasera il voto all'Onu sulla tregua di 30 giorni
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È stato rinviato a sabato 24 alle 18 ora italiana il voto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite su una risoluzione per un cessate il fuoco di 30 giorni in Siria, per consentire consegne di aiuti umanitari ed evacuazioni per motivi medici. Lo hanno fatto sapere fonti diplomatiche. Non è chiaro se la Russia, alleata del regime di Damasco, appoggerà la proposta.

Si combatte e si muore sempre nel Ghouta, fronte siriano incandescente assieme a quello di Afrin. Una bambina di quattro anni, secondo la Fondazione turca per il soccorso umanitario (Ihh), ha perso la vita a causa del raid aereo sferrato dal regime di Damasco su un orfanotrofio.

Secondo la Fondazione turca, il padre della bambina, insegnante nell’orfanotrofio, è rimasto gravemente ferito nel raid. Per l’Osservatorio siriano per i diritti umani è salito a 400 civili, tra cui almeno 75 bambini, il bilancio delle vittime negli ultimi cinque giorni nel Ghouta. Raid del regime condannati con durezza da Washington. «Vediamo gli eventi terribili in Siria, che non arrivano da un regime contro i terroristi, ma contro i suoi cittadini», ha dichiarato la cancelliera Angela Merkel al Bundestag. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha chiesto «l’arresto immediato di ogni azione di guerra» nel Ghouta dove 400mila persone vivono «l’inferno in terra».

Intanto la Russia si è detta pronta a «considerare » la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per giungere a una tregua in Siria ma «noi abbiamo proposto una formula molto chiara che esclude l’Isis, al-Nusra e le sigle affiliate dal cessate il fuoco» spiega il ministro degli Esteri russo Sergeij Lavrov. Timide aperture da Mosca, prima di un voto in Consiglio di sicurezza che ha bocciato il testo presentato da Svezia e Kuvait. L’obiettivo della risoluzione, aveva subito precisato Lavrov, «non è quello di aiutare veramente popolazione civile» ma di accusare il «governo siriano di tutti i torti e passare così al piano B, ovvero abbattere il regime di Damasco».

Una tregua molto difficile e certo non a breve termine. Infatti la Russia ha dislocato nella sua base siriana di Khmeimim due caccia SU-57 di quinta generazione, un gioiello tecnologico. La Siria infatti è divenuta per Mosca un formidabile poligono di esercitazione: «Aiutando il nostro popolo fratello siriano, abbiamo testato più di 200 nuovi tipi di armi», ha dichiarato alla Duma il generale Shamanov, ex comandante dei paracadutisti russi e ora deputato alla Duma.

Si continua a combatte intanto ad Afrin, dove altre truppe filo-governative siriane sono arrivate nell’enclave curda a quanto riferisce l’agenzia ufficiale Sana. Un primo gruppo di forze filo-governative era arrivato ad Afrin martedì scorso ed era subito stato preso di mira dall’artiglieria turca. Tuttavia, secondo quanto affermato dal vicepremier turco Bekir Bozdag, tra il regime di Damasco e le Unità di protezione del popolo curdo ( Ypg) dopo un «negoziato» non sarebbero giunti «ad alcun accordo» per la gestione della provincia di Afrin.

Ed è pure guerra di cifre: sono 1.829 i militanti «neutralizzati» nella regione di Afrin dal 20 gennaio, secondo le Forze Armate turche. Per il vice premier Bozdag l’operazione “Ramoscello d’Ulivo” non ha causato alcuna vittima civile. Diversa la versione della leader del partito filo-curdo turco Hdp, Pervin Buldan. «Abbiamo molte foto che documentano le vittime. Non è facile fornire cifre esatte, ma sappiamo che ci sono più di 100 civili uccisi», ha spiegato Buldan.

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