giovedì 13 gennaio 2011
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Cade, con un tempismo perfetto, il governo di intesa nazionale in Libano. Le dimissioni in blocco di undici ministri dei partiti facenti capo all’opposizione filo siriana sono state annunciate pochi minuti prima dell’incontro tra il presidente Barack Obama e il premier Saad Hariri a Washington. La crisi era nell’aria da diversi mesi. L’opposizione – costituita principalmente dai due partiti sciiti Hezbollah e Amal e dalla Corrente nazionale libera (cristiana) di Michel Aoun –, chiedeva da tempo al primo ministro di discutere sui «falsi testimoni» che hanno indicato la Siria come mandante dell’assassinio dell’ex premier Rafiq Hariri, avvenuto il 14 febbraio 2005. Hariri aveva ammesso, in una dichiarazione a un noto quotidiano arabo, l’esistenza di testimoni che hanno «distrutto le relazioni tra la Siria e il Libano e politicizzato l’omicidio». Hezbollah e i suoi alleati hanno colto la dichiarazione per orchestrare una campagna destinata a gettare discredito sul Tribunale speciale per il Libano (Tsl), chiamato a far luce sull’assassinio, e su alcuni collaboratori di Hariri, accusati di aver «montato ad arte» le false testimonianze. Svanisce così il tentativo di arrivare a un compromesso tra Arabia Saudita e Siria (considerati gli sponsor regionali di maggioranza e opposizione) e che mirava a scongiurare le eventuali ripercussioni di un atto d’accusa del Tribunale speciale che incolperebbe Hezbollah dell’attentato di San Valentino. Secondo alcuni osservatori, l’accordo – già pronto – sarebbe stato «affossato» dal segretario di stato americano Clinton che ha insistito sulla necessità di preservare il lavoro del Tsl. Una crisi, ha dichiarato in serata il presidente Obama, che dimostra gli sforzi di Hezbollah di «impedire al governo di fare il suo lavoro» e rispondere alle necessità della popolazione.La crisi è ora aperta a tutte le possibilità. A dispetto di tutti i tentativi di pacificazione intrapresi anche da altri Paesi. Il presidente siriano Bashar Assad e il re saudita Abdullah avevano addirittura organizzato, il 30 luglio scorso, un summit tripartito libano-siro-saudita a Beirut allo scopo di tranquillizzare il Libano sulle conseguenze della sentenza dell’Onu. Nella stessa direzione conciliante si poteva annoverare la recente mossa di Obama di nominare, approfittando della chiusura festiva del Congresso e dopo 5 anni di boicottaggio, un nuovo ambasciatore a Damasco. Prima impasse è ora quella di formare un nuovo governo. Hariri – che ha anticipato il suo rientro a Beirut e ha fatto sosta a Parigi per incontrare Nicolas Sarkozy – aveva impiegato 135 giorni di estenuanti trattative per arrivare a una ripartizione accettabile da tutti. Le trenta cariche ministeriali erano state divise secondo la formula del «15+10+5»: quindici ministeri alla maggioranza, dieci all’opposizione e cinque "imparziali" vicini al presidente Michel Suleiman. Infatti, è stata la dimissioni di uno di questi ultimi cinque a far mancare al governo il numero legale dei due terzi che poteva permettergli di andare avanti. Il timore è che l’opposizione torni, come ha fatto per più di un anno, a occupare stabilmente il centro commerciale di Beirut. D’altra parte, alla luce dello schieramento totale (o quasi) della comunità sciita a fianco dei suoi partiti, la formazione di un nuovo gabinetto grazie alla sola maggioranza porrebbe la questione – delicatissima in Libano – dell’effettiva rappresentatività degli eventuali sciiti chiamati a occupare la quota riservata alla comunità.
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