martedì 3 aprile 2018
Il premier aveva detto che 16mila sarebbero stati trasferiti anche in Europa. Le proteste hanno costretto a fare marcia indietro
Protesta dei profughi eritrei in Israele contro la deportazione (Ansa)

Protesta dei profughi eritrei in Israele contro la deportazione (Ansa)

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Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha annullato l'accordo con l'Alto commissariato per i rifugiati dell'Onu (Unhcr) per il ricollocamento di oltre 16.000 richiedenti asilo africani verso Paesi occidentali. Il passo è stato dunque compiuto, dopo che già nella notte il premier israeliano, sull'onda delle proteste di Italia e Germania, e dei malumori interni al governo, aveva già sospeso l'intesa.

L'accordo con l'Onu: 16 mila migranti africani da trasferire in Occidente

Israele lunedì aveva annunciato di avere annullato il controverso progetto di espulsione dei migranti africani, firmando un accordo con l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr) per mandare la metà di loro in Paesi occidentali. “L’Unhcr e Israele – aveva riferito l’ufficio del premier israeliano Benyamin Netanyahu – sono arrivati a un accordo senza precedenti che permetterà la partenza di 16.250 migranti africani verso Paesi occidentali nei prossimi cinque anni, di cui 6.000 nei primi 18 mesi, mentre Israele regolarizzerà lo status di quelli che rimarranno”, in pratica altri 16.250 migranti cui sarà garantito un permesso di residenza temporanea.

Anche Italia e Germania tra i Paesi di destinazione, ma la Farnesina smentisce

Parlando poi in diretta televisiva, il premier israeliano aveva indicato alcuni dei “Paesi sviluppati” occidentali che avrebbero accolto i migranti: Canada, Germania e Italia. Netanyahu aveva precisato che l’agenzia Onu si era presa l’impegno non solo di organizzare il piano, ma persino di finanziarlo. Fonti della Farnesina lunedì pomeriggio hanno tuttavia negato che un accordo con l’Italia sia stato raggiunto nell’ambito “del patto bilaterale” tra Israele e l’Unhcr e a questo punto lo stesso ufficio di Netanyahu ha dovuto precisare che il riferimento all'Italia era stato fatto solo a titolo di esempio.

I Paesi citati dal premier hanno subito fatto sapere di non avere raggiunto alcuna intesa con Gerusalemme. Anzi la Farnesina ha seccamente smentito questa ipotesi. Le proteste sono state vivaci e ne è nato subito un caso internazionale. Risultato: in serata Netanyahu ha fatto sapere di avere sospeso per il momento l'accordo per valutarne in modo più attento i termini, e nella notte l'accordo è stato completamente annullato.

Resta quindi in sospeso il futuro di questi migranti in fuga da guerra e persecuzione, in particolare da Eritrea e Sudan.

La presenza dei migranti in Israele è una questione politica, con Netanyahu che si riferisce a loro come “non rifugiati, ma infiltrati illegali peggiori dei terroristi”. La ministra della Giustizia Ayelet Shaked ha scritto sul suo profile Facebook che “lo Stato di Israele è troppo piccolo e ha i suoi problemi. Non può perciò fungere da ufficio di collocamento per il continente africano”.

Il 3 gennaio Netanyahu aveva annunciato un programma in base al quale circa 38mila migranti africani adulti entrati illegalmente nel Paese, perlopiù eritrei e sudanesi, avrebbero dovuto lasciare il Paese e, in caso di rifiuto, avrebbero rischiato il carcere. Dal 4 febbraio le autorità avevano cominciato a notificare ai migranti, tramite lettere, che avevano tempo fino alla fine di marzo per lasciare volontariamente Israele.

Dal momento che Israele riconosceva tacitamente che era troppo pericoloso rimpatriare sudanesi ed eritrei nei loro Paesi di origine, aveva offerto di ricollocarli in altri Paesi africani, come Ruanda e Uganda, i quali però avevano annunciato che non avrebbero accettato le persone espatriate contro la loro volontà. Il piano aveva attirato le critiche dell’Unhcr e dei sopravvissuti all’Olocausto, che sottolineavano come Israele avesse un obbligo particolare di proteggere i migranti.

Sulla stampa locale è stato lamentato il fatto che le espulsioni fossero in programma per i primi di aprile, ossia durante la Pasqua che commemora la fuga degli ebrei dalla schiavitù dell’Egitto. Il 24 febbraio scorso gli attivisti per i diritti umani israeliano hanno organizzato una grande manifestazione di protesta a Tel Aviv, dove si concentra più della metà dei migranti.

Secondo i dati del ministero dell’Interno, in Israele vivono 42mila richiedenti asilo originari dell’Africa, 4mila dei quali bambini. Il 72 per cento di loro provengono dall’Eritrea, il 20 per cento dal Sudan (soprattutto dal Darfur) e l’8 per cento da Nigeria, Ghana, Costa d’Avorio, Sierra Leone e altri Paesi africani.

Gli arrivi avevano raggiunto un picco nel 2011 con 1.300 immigrati che attraversavano il poroso confine meridionale con l’Egitto ogni mese. Nel 2013 si contavano così 60mila persone, ma il numero è calato negli anni successivi in seguito a una politica di espulsione, di incentivi finanziari per lasciare volontariamente il Paese (3500 dollari e un biglietto aereo), come pure grazie all’ottenimento da parte di alcuni migranti del diritto di asilo in Paesi occidentali, come il Canada e la Germania.

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