martedì 7 gennaio 2020
Si temono le rappresaglie iraniane in risposta all’omicidio del generale Soleimani. I tedeschi lasciano, altri si spostano in Paesi limitrofi o riducono i contingenti
Truppe americane in Iraq

Truppe americane in Iraq - Ansa

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C'è fibrillazione nei comandi alleati in Iraq, fra annunci di ritiri, ridispiegamenti tattici, lettere frettolose e retromarce improvvise. Segno che regna confusione e incertezza, forse paura, in attesa della rappresaglia iraniana in risposta all’omicidio del generale Soleimani. La Nato sta già correndo ai ripari. Ridislocherà parte dei sui istruttori fuori da Baghdad, in aree considerate più sicure dell’Iraq, e in altri Paesi mediorientali alleati. È un ripensamento temporaneo della missione, che sarà ridotta nei numeri in Iraq. Per ragioni di sicurezza del personale.

Anche l’Italia sta ridisegnando la sua operazione Prima Parthica. Apparentemente rimane salda in Iraq. Ma l’operazione continua senza troppa convinzione. Il ministero della Difesa ha fatto sapere che non «c’è nessuna ipotesi di ritiro», ma sono stati già ricollocati i 52 carabinieri in servizio al poligono Union 3 di Baghdad, trasferiti verso una base più sicura fuori dalla capitale. «Una decisione presa in sinergia con i comandi alleati della coalizione internazionale». A confermarlo è una nota dello stato maggiore della Difesa, che precisa non esservi «nessuna interruzione della missione e degli impegni». La verità è che la coalizione ha già perso i primi pezzi: il contingente croato di 14 militari è già stato trasferito in Kuwait, lo stesso farà il Canada per parte delle truppe.

Anche per i tedeschi è fuggi fuggi. Il ministero della difesa ha annunciato il ritiro parziale dall’Iraq. La Bundeswehr allinea 130 soldati nel Paese. Prima della decisione alleata di rivedere il dispositivo generale, per aumentare la sicurezza delle forze in campo, quasi 90 militari tedeschi si trovavano nel Kurdistan iracheno, mentre altri 27 addestravano le truppe irachene al poligono di Taji, poco più a nord di Baghdad. Sono proprio questi ultimi gli interessati dal ritiro parziale deciso da Berlino.

Lo stato Maggiore tedesco ha fatto sapere di temere per la vita dei propri istruttori. Le reclute irachene potrebbero avere «simpatie per le milizie sciite infeudate all’Iran e aprire il fuoco contro i nostri militari, come già avvenuto in Afghanistan». I tedeschi sono fra i pochissimi a defezionare. Gli americani si sono trincerati nelle basi, a partire dalla grande infrastruttura aerea di Balad. Le misure di sicurezza sono al livello massimo – Alpha – anche all’ambasciata di Baghdad. Parliamo degli obiettivi più papabili di un’eventuale rappresaglia iraniana. Bersagli fissi, facili da colpire.

Il giallo della lettera. Non a caso gli statunitensi mantengono costantemente in volo sull’Iraq cacciabombardieri in grado di intervenire rapidamente a difesa delle basi americane. Ieri, tutte le agenzie erano sobbalzate. In una lettera inviata allo stato maggiore iracheno, il generale William H.Seely, comandante delle operazioni militari americane in Iraq, aveva preannunciato un ridispiegamento delle truppe statunitensi e della coalizione anti-jihadista in vista «di una ritirata sicura ed efficace» dal Paese.

«È stata spedita per errore», ha affermato il generale Mark Milley, capo degli stati maggiori congiunti americani. «Era solo un progetto di lettera non firmato». Il numero uno del Pentagono, Mark Esper è stato più perentorio: «Non è stata presa nessuna decisione di ritirarsi dall’Iraq. Punto». Il problema è che la lettera – giura il premier di Baghdad Adel Abdel Mahdi – era «firmata e con tanto di traduzioni allegate».

Anche i britannici stanno riposizionandosi, rafforzando il contingente a Cipro per eventuali azioni di protezione a favore dei militari ancora in Iraq, che hanno già raggiunto le basi americane.

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