martedì 6 dicembre 2022
Dal 16 settembre sono almeno 440 i manifestanti uccisi. E 28 arrestati sono stati condannati a morte
Iran, a che punto è la protesta

Wana / Reuters

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440 i manifestanti uccisi. E le cifre nascoste

Il numero dei manifestanti uccisi durante le proteste ha superato quota 440. È la stima dell’Ispi di Milano. Tra questi ci sarebbero iraniani non direttamente coinvolti negli scontri, uccisi per esempio da proiettili vaganti. Hrana, agenzia stampa specializzata in diritti umani, segnala tra i morti 64 bambini. Le stime di regime sono di gran lunga inferiori: l’agenzia per la sicurezza, sabato, parlava di 200 decessi. Secondo le associazioni umanitarie, le famiglie delle vittime sono pressate dalle autorità a denunciare la morte dei propri cari come conseguenza di suicidi o incidenti stradali.

56 le vittime tra gli agenti. "Agite senza pietà"

Le vittime tra le forze dell’ordine sono 56: agenti governativi, Guardie della Rivoluzione, poliziotti e paramilitari Basij. Tutti istruiti ad agire “senza pietà”. Alcune manifestazioni, in particolare a Teheran, sono state sedate in modo così violento da aver sollecitato indagini interne alle stesse autorità. In diversi video circolati sul Web i militari si fanno strada tra la folla, in moto, mentre sparano. Il Guardian racconta che i familiari cercano di portare a casa i corpi dei propri cari per timore che la polizia potrebbe farli sparire.

20mila le persone arrestate. "28 attese dal boia"

Gli arresti disposti dalle autorità sono quasi 20mila. Centinaia sono gli studenti. In manette anche personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport, come il calciatore Voria Ghafouri, schieratisi con i «ribelli». Secondo alcune fonti, diversi sono i fermi disposti anche nei confronti dei militari accusati di aver sostenuto le dimostrazioni. Secondo Amnesty International, sono 28 le persone arrestate su cui già pende una sentenza di condanna a morte. Tre di queste sarebbero minorenni.

156 le città coinvolte. Il motore delle università

L’ondata di proteste è nata a Saqqez, nel Kurdistan iraniano, con la morte della ventiduenne Masha Amini. Ma si è irradiata in tutto il Paese coinvolgere più di 156 città, da Mashhad a Esfahan passando, solo per citarne alcune, per Arak, Bushehr, Kermanshah e Shiraz. La sua portata è diventata ingombrante quando le dimostrazioni sono approdate nella capitale messa in subbuglio anche dagli scioperi. Ad accelerare la rivolta sono state università come Sharif University of Technology, Al-Zahra University e Amir Kabir University of Technology.

Wana / Reuters

63 i giornalisti arrestati. Cifre senza precedenti

È senza precedenti il numero dei giornalisti arrestati nell’ambito delle manifestazioni. Più di sessanta. Secondo Reporter senza frontiere il 44% di questi è di sesso femminile. Percentuale mai registrata prima, neppure durante le rivolte del 2019. I casi che tra i primi hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sono quelli di Nilufar Hamedi e Elahe Mohammadi. La prima, del quotidiano Shargh, ha seguito la morte di Mahsa Amini dall’ospedale dove era in coma prima di morire; la seconda ha raccontato per il giornale Ham Mihansi il funerale della ventiduenne.

1.075 i focolai di rivolta. L'iniziativa delle donne

Hanno superato quota mille i focolai di protesta in totale. La quasi totalità risulta essere stata capeggiata da donne. Il regime le ha ricondotte a pressioni arrivate dall’esterno: retorica già ampiamente vista durante le “Primavere arabe” del biennio 2010-11. La dimensione generazionale di questa ondata è intrecciata all’opposizione alla religiosità pubblica normata e imposta dal regime degli ayatollah. Pesa anche l’isolamento internazionale dell’Iran che da anni che strozza l’economia facendo crescere il malcontento e il disagio sociale.

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