venerdì 24 novembre 2017
Un gruppo armato ha fatto esplodere l'ordigno e ha poi sparato contro i fedeli e incendiato auto. Un centinaio i feriti. «Molti sufi». L'area è da quattro anni ostaggio di gruppi islamisti filo Daesh
In alcune sale della moschea sono allineati i cadaveri dei fedeli (Ansa)

In alcune sale della moschea sono allineati i cadaveri dei fedeli (Ansa)

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È salito a 305 vittime, tra cui 27 bambini, e un centinaio di feriti il tragico bilancio dell'attentato contro una moschea vicino ad Arish nel nord del Sinai, in Egitto. Secondo quanto riferito da fonti di sicurezza, l'attacco è stato condotto da un gruppo armato piazzando una «bomba all'interno» del luogo di culto e sparando sui fedeli che fuggivano dopo l'esplosione con lanciarazzi e armi automatiche.

Il commando di 25 e 30 miliziani, alcuni dei quali sventolavano le bandiere del Daesh, ancora non è stato identificato, ma i sospetti delle autorità ricadono su gruppi islamisti filo Daesh attivi nella regione. L'attacco – che ha preso di mira la moschea al-Rawdah, a Bir al-Abed, a ovest della città di Arish - non è stato rivendicato. Si tratta del peggior attentato in quattro anni di violenze nel Sinai da parte degli islamisti.

La moschea sarebbe nota come luogo di ritrovo dei sufi, che gli estremisti sunniti filo Daesh considerano apostati poiché venerano santi e santuari, ritenuti dagli altri islamici equivalenti all'idolatria. In passato i jihadisti hanno rapito e decapitato un anziano leader sufi, accusato di praticare la magia, e sequestrato diversi fedeli sufi, poi rilasciati a seguito del loro «pentimento».

Il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, ha convocato una riunione di emergenza con i responsabili della sicurezza. Il governo del Cairo ha proclamato 3 giorni di lutto nazionale. "L'esercito e la polizia vendicheranno i nostri martiri e ristabiliranno con la forza la sicurezza e la stabilità in tempi brevi. Risponderemo con forza brutale", ha dichiarato il presidente.

Caccia ai terroristi. "Nel quadro delle indagini condotte dalla Procura generale sull'attentato contro la moschea il procuratore generale, consigliere Nabil Sadek, ha ordinato che un grande pool" di inquirenti "vada negli ospedali per interpellare i feriti e ascoltare le testimonianze al fine di apprendere come ha avuto luogo questo attentato", fa saper la procura.

C'erano oltre 200 fedeli, «erano sufi»

C'erano «almeno 200 persone» all'interno della moschea al momento dell'attacco: lo ha riferito all'agenzia Ansa un consigliere comunale di Bir El Abd. I terroristi hanno bruciato «una decina» di auto dei fedeli parcheggiate davanti alla moschea, ha riferito ancora il consigliere, Salama El Rokei. Il luogo di culto islamico si trova lunga la cosiddetta «autostrada internazionale» ed è frequentato anche da automobilisti di passaggio.

«Hanno sparato alle persone mentre stavano uscendo dalla moschea», ha riferito all'agenzia Reuters un residente con parenti sul posto. «Hanno sparato anche alle ambulanze». La tv Arabiya e alcune fonti locali riferiscono che alcuni fedeli erano sufi.

L'inferno di El Arish, da dove i cristiani sono fuggiti

La zona del Nord Sinai, e in particolare proprio l'area di el-Arish, è tristemente nota da diversi anni per essere crocevia di traffici di migranti, di organi e di ogni tipo di illegalità. Qui lo stato egiziano fatica a imporsi e prosperano gruppi terroristici, prima legati ad al-Qaeda e più di recente al Daesh, il sedicente Stato islamico. Da qui provenivano i cristiani copti bruciati vivi dai jihadisti, all'inizio dell'anno, e da qui erano fuggite, a febbraio, circa 200 famiglie copte, probabilmente tutte quelle che vivano nella zona.

Daesh senza freni nel Sinai: trucidati altri 2 copti di Federica Zoja (24/2)

El Arish, capolinea dei fantasmi del Sinai di Paolo Lambruschi (11 novembre 2011)

Il conflitto Stato-jihadisti va avanti da 4 anni

Concentrato soprattutto nell'angolo nord-est del Sinai, al confine con la Striscia di Gaza, da oltre quattro anni e mezzo è in corso un conflitto a bassa intensità tra forze di sicurezza egiziane e terroristi del Daesh. A combattere sono gli ex Ansar Beit el-Maqdes, i Partigiani di Gerusalemme, il principale gruppo jihadista egiziano con base nella penisola, che poi ha cambiato il nome in "Stato del Sinai" nel quadro di un'alleanza-affiliazione con il Daesh annunciata nel novembre 2014.

«La situazione là sta migliorando, giorno dopo giorno» aveva sostenuto il presidente egiziano al Sisi l'8 novembre ribadendo che i terroristi si barricano ora in una «zona che rappresenta l'1 o 2%» del territorio della penisola del Sinai.

La solidarietà internazionale

"Sgomento, profonda tristezza, orrore di fronte a quanto è accaduto". Sono questi "i primi sentimenti provati, anche da noi cristiani", alla notizia dell'attacco alla moschea in Sinai, dice monsignor Bruno Musarò nunzio apostolico in Egitto. "Il presidente Al-Sisi ha proclamato tre giorni di lutto nazionale e si stanno ancora raccogliendo le reazioni per capire cosa sia successo realmente". Il diplomatico vaticano informa che "l'ipotesi che ora prevalente è quella di una lotta fra gruppi terroristici che si combattono fra di loro, anche a costo di mietere vittime tra fratelli musulmani e persino davanti a un luogo di preghiera che dovrebbe essere sacro per tutti e soprattutto per chi si ammanta di una fede islamica per giustificare il terrorismo. Magari raccogliessero tutti gli appelli alla pace, al dialogo, alla convivenza pacifica! Purtroppo, il terrorismo acceca...".

"Si tratta davvero di un attacco senza precedenti - aggiunge il nunzio -, anche per il numero delle vittime, premeditato e studiato proprio all'uscita dalla preghiera. La nostra solidarietà cristiana, nel giorno in cui Papa Francesco ha illustrato il suo messaggio per la Giornata della Pace, va al governo del Cairo e tramite esso all'intera comunità musulmana dell'Egitto".

Il Presidente Sergio Mattarella ha inviato al Presidente della Repubblica Araba d'Egitto, Abd Al-Fattah Khalil Al-Sisi, il seguente messaggio: "Ho appreso con profondo dolore la notizia del vile attentato che ha colpito poche ore fa la moschea di Bir Al-Abed con un drammatico bilancio di morti e feriti. Nella comune lotta contro il terrorismo e l'estremismo religioso - nemici esiziali della libera espressione del culto - l'Egitto potrà contare sempre sul determinato sostegno dell'Italia. Giungano a lei, Signor Presidente, al popolo egiziano e alle famiglie delle numerosissime vittime le espressioni del più sentito cordoglio degli italiani tutti,
unitamente a un sincero augurio di ristabilimento per i feriti". Lo ha reso noto il Quirinale.

Di "strage orribile e agghiacciante" ha parlato il premier Paolo Gentiloni, rivolgendo il pensiero alle vittime e alle loro famiglie. Il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, scrive su Twitter: «Solidarietà e vicinanza dell'Italia al popolo dell'Egitto per vile attacco terroristico a moschea Al Rawdah. La paura non prevarrà».

"Attacco terroristico orribile e codardo a fedeli innocenti e indifesi in Egitto": lo scrive il presidente americano Donald Trump su Twitter. "Il mondo non può tollerare il terrorismo, dobbiamo sconfiggerli militarmente e screditare l'ideologia estremista che costituisce la base della loro esistenza!"

Sempre su Twitter, il presidente francese Emmanuel Macron: «Tutte le mie condoglianze per levittime del terribile attentato contro la moschea Bir El-Abid in Sinai». E ancora su Twitter il principe ereditario dell'Arabia Saudita Mohammed Bin Salman: "Condanniamo questo atto terroristico che ha preso di mira degli innocenti", facendo seguito un messaggio di condanna del re saudita. Theresa May, premier britannica, si è detta "inorridita". E la premier tedesca Angela Merkel ha espresso il suo dolore con un telegramma ad al Sisi.

Il presidente russo Vladimir Putin ha condannato l'attentato terroristico con una lettera ad al Sisi: "L'uccisione di civili durante un servizio religioso colpisce per crudeltà e cinismo. Siamo convinti ancora una volta che i principi morali dell'essere umano sono assolutamente estranei ai terroristi", aggiungendo che "la Russia è disposta ad espandere la cooperazione con il popolo egiziano nella lotta contro le forze del terrorismo internazionale". Una nota del ministero degli Esteri del Bahrein conferma il sostegno all'Egitto nella «lotta al terrorismo e contro tutti i gruppi estremisti» e nell'impegno per «riportare sicurezza e stabilità» nella regione.

L'edificio del comune di Tel Aviv, in Israele, nella centralissima piazza Kikar Rabin, si è illuminato nel pomeriggio con i colori della bandiera egiziana in onore dei morti caduti nell'attentato alla Moschea nel Sinai. "Un attacco orripilante in Egitto - ha scritto su twitter il sindaco di Tel Aviv Ron Huldai - Inviamo le nostre condoglianze ai nostri amici al di là del confine e illuminiamo il palazzo del Comune in loro onore". Solidarietà è giunta all'Egitto anche da molti esponenti del governo israeliano.

Il Centro Astalli, il servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia, esprime "profondo cordoglio per le centinaia di vittime del tragico attentato avvenuto in queste ore in Egitto in una moschea in cui erano riunite molte persone a pregare. Una notizia - si ricorda - che arriva proprio nel giorno in cui Papa Francesco ha presentato il suo messaggio per la Giornata mondiale della Pace". Osserva padre Camillo Ripamonti presidente del Centro Astalli: "I fatti di queste ore in Egitto mostrano ancora una volta il volto orribile del terrorismo che colpisce vigliaccamente e mette in fuga ogni giorno migliaia di civili inermi in tutte le parti del mondo. Oggi più di ieri, è responsabilità dell'intera comunità internazionale lavorare per la costruzione di società in cui il rispetto dei diritti e della dignità di ciascuno siano strumenti per costruire la pace".

L'attacco terroristico condotto oggi contro una moschea del nord del Sinai, che ha provocato centinaia di vittime tra morti e feriti "è opera di terroristi vigliacchi che con questa azione feroce non hanno fatto altro che dimostrare il loro fallimento". È questo il duro commento del Segretario generale del Centro islamico culturale d'Italia, meglio noto come la Grande moschea di Roma, Abdellah Redouane

I precedenti

L'ultimo, terribile atto erano stati i sanguinosi attentati della domenica delle Palme contro i cristiani copti a Tanta e ad Alessandria, nei quali erano morte quasi cinquanta persone. Già allora si temeva che si trattasse solo della punta dell'iceberg di una campagna di pogrom confessionali portata avanti dall'Isis e dai gruppi estremisti che a vari livelli operano in Egitto, e che sopratutto nel Sinai stanno seminando il terrore. La terribile conferma arriva oggi dalla moschea di Al-Rawda di Bir al-Abed, a pochi chilometri da Al-Arish, nel Sinai settentrionale: il jihadismo alza il tiro anche sui musulmani considerati eretici: sunniti come pure semplici cittadini accusati di essere accondiscendenti con il principio della laicità dello Stato.

Secondo Mokhtar Awad, esperto di gruppi terroristici della George Washington University, gli attentati dello scorso aprile contro le chiese copte hanno segnato in qualche modo un "salto di qualità" nella persecuzione dei copti, poichè sarebbero stati orchestrati attraverso il coordinamento tra diverse cellule all'interno del Paese, con legami diretti con il quartier generale dell'Isis in Iraq e Siria, anzichè da una singola milizia o gruppo terroristico attivo nell'area.

Prima di questi attentati, gli uomini e gli emuli di Al Baghdadi sembravano avere l'obiettivo di attivare con i cristiani d'Egitto la stessa logica settaria in atto nei confronti dei musulmani sciiti in Iraq: lo si è visto a partire dallo scorso anno, quando sono iniziati i pogrom anti-copti nel Sinai, che hanno costretto centinaia di cristiani ad abbandonare la città di Al Arish.

Le persecuzioni nel Sinai non segnalano solo l'aumento del takfirismo e del terrorismo di matrice settaria: sono anche l'ennesima spia di una situazione fuori controllo nella Penisola nel nord-est dell'Egitto, dove sin dalle rivolte del 2011 gli scontri tra Esercito egiziano e varie milizie hanno fatto registrare più di un migliaio di morti.

Si potrebbe pensare che gli attacchi contro i copti e quest'ultimo assalto siano una prova di forza de Daesh (Isis): una prova di forza rivolta all'Occidente e alle forze che in Siria, Iraq e Libia stanno costringendo gli uomini di Al Baghdadi alla ritirata, ma anche una prova di forza nei confronti di Al Qaeda, che nel Sinai e in Egitto vanta una presenza storica.

I gruppi terroristici attivi nella penisola del Sinai

Nel Sinai - area nota per essere un'area dove vige l'anarchia, che serve da rotta clandestina per i movimenti di armi - l'isolamento delle popolazioni beduine, lasciate a se stesse in un'area dotata di pochissime risorse, ha in qualche modo facilitato l'attecchimento del jihadismo, che è presente a fasi alterne sin dagli anni '70.

Negli anni '70 il gruppo più forte nella penisola era il Takfir wa Hijra ("scomunica ed esodo") guidato da Shukri Mustapha: dopo la morte del leader, molti membri del gruppo si sono reinventati un ruolo ed hanno aderito ad altri gruppi dell'orbita qaedista. Alcuni di essi sono stati arrestati in Ucraina nel 2009. Oggi in Sinai proliferano gruppi diversi, riconducibili ad Al Qaeda e all'Isis. Sotto l'ombrello di Al Qaeda - che opera anche con il suo braccio principale nell'area, cioè Al Qaeda in Sinai Peninsula (AQSP) - ci sono gruppi come Ansar al Sharia di Ahmed Ashoush, fondato nel 2012; c'è Jaish al Islam, autore di un altro attentato contro una chiesa copta ad Alessandria nel 2011, in cui morirono 23 persone; ci sono le Brigade Abdullah Azzam, fondate ufficialmente nel 2009, attive sopratutto in Libano ma anche nel Sinai, dove nel 2004, prima della loro istituzione formale, realizzarono un attentato all'Hitlon di Taba, uccidendo 31 persone; ci sono le Brigate al Furqan, impegnate spesso in scontri a fuoco con le Forze di sicurezza egiziane, e c'è Tawhid al Jihad, attivo dal 2008 ma oggi indebolito dal fuoco incrociato di attori diversi come Israele, Egitto e Hamas.


Nel Sinai operano dal 2011 molti gruppi terroristici, impegnati su base settimanale in scontri a fuoco con le truppe egiziane e responsabili di numerosi attacchi terroristici.

Dal 2014, però, c'è anche il Daesh (Isis): prima della proclamazione del Califfato a Mosul, nel Sinai il Daesh dal 2012 operava tramite il Mujaheddin Shura Council in the Environs of Jerusalem, un gruppo che, come nel caso di Tawhid al Jihad, viene combattuto da Israele, Egitto e Hamas, il cui nucleo principale oggi pare essersi spostato nell'orbita qaedista. Il gruppo che pare avere dei progetti che vanno oltre la lotta alle forze armate egiziane ed i pogrom anti- cristiani sembra essere però Ansar Beit al Maqdis. Nato nel 2011 grazie all'afflusso di militanti da tanti piccoli gruppi di orientamento salafita, dal 2013 in guerra contro le Forze armate egiziane, dal 2014 Ansar Beit al Maqdis non si è solo limitato a giurare fedeltà all'autoproclamato califfo Al Baghdadi: nel novembre 2014 si è trasformato e, analogamente a quanto fatto dall'Isis nel Levante, ha proclamato una provincia sotto il suo controllo: la Wilayat al Sinai, che ha anche un suo "governatore", Abu Hajar al Hashemi, annunciato dal gruppo lo scorso dicembre.

All'interno del gruppo operano molti militanti che hanno già combattuto in Iraq e Siria, e in questi tre anni hanno ucciso più di un centinaio di soldati egiziani. Sono loro, probabilmente, i principali responsabili indiretti di ciò che sta accadendo ai cristiani e alla sicurezza del Sinai almeno negli ultimi due anni. Sono sempre loro che ad ottobre 2015 hanno abbattuto nei cieli egiziani un aereo civile russo, nel quale sono morte 224 persone. Secondo le stime, il Daesh nella penisola del Sinai può contare su circa 1500 uomini. È tuttavia molto complicato fare stime affidabili, dato che la composizione del gruppo può cambiare continuamente, in virtù del continuo afflusso di membri di tribù beduine dell'area, di alleanze siglate con altri movimenti, come quella recente con Ansar al Sharia (originariamente legata ad al Qaeda), o addirittura di fusioni.

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