«Bombardano tutto, anche le tende». Il dramma nei disegni delle ragazze
Il lutto per la morte di una persona cara, il terrore per gli attacchi quotidiani, i sogni dimenticati. Con carta e matita le piccole gazawi hanno cercato di raccontare ciò che stanno vivendo

«Hanno bruciato la mia casa e ogni volta che mi torna in mente cosa è successo mi appare l’immagine di un serpente che gira attorno all’edificio e lo ingoia. Ma non riesco a disegnarlo, anche se è così chiaro nella mia testa», scrive Noor Al-Ashy, gazawi di 15 anni. Quello che disegna Tala Hanouna, sua coetanea, è una tavola con pollo, patate, insalata e maionese, ma anche con un enorme piatto vuoto. Lana Jundiah, invece, ritrae il rifugio dove vive ora: «Nemmeno nelle tende ci hanno risparmiato. Hanno bombardato la casa, la tenda, tutto... La tenda è una maledizione», scrive. Tutte e tre hanno partecipato a
un laboratorio sull’esperienza della perdita, su ciò che avevano e non hanno più
. «Sentiamo tutti il bisogno di raccontare. Il senso di perdita a Gaza è terrificante, quotidiano. Significa che qualcuno ti ha preso qualcosa e non puoi più recuperarlo. La morte naturale è una perdita, ma l’uccisione sistematica in tempi di genocidio è insopportabile e scioccante», spiega ad Avvenire la scrittrice gazawi Fedaa Zeyad che con l’artista Alaa Al-Jabri è l’anima del gruppo “Nahnu”, “noi” in arabo.
Con i fondi del Programma di emergenza 2025 del Museo virtuale Sahab, conducono i loro workshop in una tenda dello stadio Palestine di Gaza City che oggi è un rifugio per sfollati. Lì, sedici ragazze della Great Minds School hanno appena trascorso una settimana insieme, per affrontare con la scrittura e l’arte il vuoto lasciato da ciò che non c’è più
.
Che impatto ha perdere qualcuno? E perdere qualcosa? «All'inizio le domande hanno scioccato le ragazze, che però man mano hanno acquistato fiducia, raccontando esperienze di smarrimento di bambole, vestiti, telefoni, in un viaggio dentro i circuiti emotivi personali».
È stato poi chiesto in maniera diretta cosa abbiano perduto in guerra. «Il senso del gusto del cibo, la sicurezza, la privacy e le persone amate, hanno risposto»
. In una sessione, la giovane Lian Hanouna ha parlato del padre ucciso. «È morto in un bombardamento che ne ha sfigurato i lineamenti, così lei non ha più potuto vederlo. Lian è riuscita a scriverne in modo dettagliato, ma non ce l’ha fatta a disegnare» aggiunge la scrittrice. Il padre della giovane Islam, invece, è stato ucciso nel 2021. In questa guerra sono morti lo zio, che la sosteneva, e il suo insegnante, che la ascoltava.
«Piange per quelle tre perdite nella sua vita, e ha solo quindici anni» commenta Fedaa Zeyad, che poi racconta di ciò che è accaduto a lei. «Ho perduto mia madre nel 2020, ora hanno raso al suolo la sua tomba e ucciso la mia cara zia in un attacco. Ho perso la casa, la mia amica Alaa ha trovato la sua bruciata. Siamo esposte tutte alla perdita, immerse in un vortice di esperienze simili che si riflettono»
. Dall’inizio del conflitto la scrittrice ha tentato di documentare le storie delle sue connazionali con laboratori anche per donne adulte, nei campi di Deir al-Balah, Nuseirat e Az-Zawayda, ancora prima informalmente a Rafah e persino nel soggiorno della casa di un’amica. «Si è incapaci di esprimere i sentimenti in modo tempestivo per il flusso costante di eventi. I laboratori offrono uno spazio privato che permette di lasciarsi andare».
In una sessione, una partecipante le ha confidato:
«È la prima volta che piango senza paura di sentirmi debole di fronte ai figli di mio figlio, che è in prigione. Viviamo nella stessa stanza e devo rimanere forte davanti a loro»
. La scrittrice parla anche della sicurezza che manca sempre. «La cosa peggiore è che non si trova un posto sicuro, è così anche per i workshop, a causa degli attacchi contro gli assembramenti di persone. Tutto accade in un contesto di casualità, sopravviviamo per caso, siamo tutti presi di mira». Molti dei campi in cui ha tenuto i laboratori sono stati, poi, colpiti. «A Gaza proviamo un’esperienza speciale, quella della coincidenza di restare vivi». Le attività di “Nahnu” non si fermano malgrado i rischi. Alla fine racconti e immagini saranno riprodotti in una pubblicazione digitale. «La scrittura e il disegno – conclude Fedaa Zeyad – non sono un lusso in tempo di guerra. Sono mezzi di espressione e documentazione, e la prova che possiamo produrre arte, che è civiltà. Cioè un atto umano».
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